I colorati pousse pousse del Madagascar

pousse pousse

Si narra che fino al XIX secolo gli abitanti del Madagascar chiamassero la loro terra “Tutto” e loro stessi Quelli che sono sotto i cieli“. Immaginavano che tutto il mondo fosse lì, in quell’universo pieno di stelle in mezzo al mare. Poi, orgogliosi padroni della loro terra, accettarono il nome occidentale, dato per errore da Marco Polo che sognò quella terra misteriosa, ma mai la raggiunse.

Arrivati sulla “Grande Ile mai dare degli africani ai suoi abitanti: sarebbe un‘offesa. Nonostante la quarta isola p grande del mondo derivi dal primordiale Gondwana, il supercontinente africano, dal quale si staccò qualche milione di anni fa, portando con sé un patrimonio di flora e fauna unici al mondo, non vuole saperne di appartenere alla Grande Madre.

I suoi abitanti, infatti, arrivarono a colonizzarla dall’Asia. Erano indo-malesi che, seguendo antiche rotte marine, portarono in Madagascar usi, costumi, lingua e cibo. Sembra oriente e invece sei lì, a due passi dal trafficatissimo canale del Mozambico e dal grande continente nero.

Come guadagnarsi da vivere in Madagascar

Arrivando in alcune città, come Antsirabe, per esempio, si resta colpiti dalla presenza di tantissimi risciò. Qui chiamati, alla francese, pousse pousse (tradotto “spingi spingi”). Spingere è proprio quello che fanno in tanti sull’ardente terra rossa. Caldo, fatica, età, niente ferma questi lavoratori tenaci e dignitosi. Si tratta di una sorta di scalata sociale, secondo loro.

Spesso sono contadini che lasciano la coltivazione della loro terra (aumentando inurbamento e povertà) e dai piccoli villaggi, dalle case di fango, scendono in città a tentare la fortuna, noleggiando questi mezzi e pagando ogni giorno una quota per il loro affitto. Vita non semplice, dato che la città é cara e come ex agricoltori non hanno più nulla e si devono indebitare. Per risparmiare, visto che il margine è molto ridotto e la gabella del nolo è quotidianadormono, mangiano e vivono nel carretto.

Lo manutengono, lo colorano, lo personalizzano. E’ un marketing semplice ma efficace. Nomi, disegni anti malocchio, santi locali e tanta fantasia di un popolo gentile, ornano i pousse pousse molto amati dai turisti per giri della città, ma anche come trasporto merci e bus scolastico. Qualunque siano le condizione atmosferiche i risciò non si fermano. Sacchi di cellophane per la pioggia o ventilazione naturale contro il grande caldo.

La dignità dietro al duro lavoro

Nessuno si sogni di compatirli, anche se la fatica può diventare immane. Devono correre per mantenere la famiglia rimasta lassù sulle colline. Quindi, superato il rimorso tipicamente occidentale di sfruttamento dell’uomo, anche noi saliamo sul pousse pousse e l’ebbrezza data dalla velocità di questa due ruote umana, ci prende.

Toby, secco secco, non ha il tempo di ingrassare e corre veloce e sorridente, nonostante sia bagnato di sudore. Cerca, per fare bella figura, di ingaggiare una gara con i suoi compagni, ma la nostra preoccupazione lo fa desistere presto. «Procediamo piano» gli dico. Ma non è così che funziona. Non vuole la nostra compassione. Anche quando di fronte a una salita scendiamo per non fargli fare fatica. Anzi cerchiamo di aiutare a spingere altri risciò.

Si ferma e si arrabbia: «É il mio lavoro e voi siete i miei clienti!». Non si sente sfruttato, vuole solo lavorare. Anche sotto gli scrosci monsonici, correndo a piedi nudi nei torrenti stradali, tutti avvolti, clienti compresi, in sacchetti di plastica di ogni dimensione e colore.

Col sole sembra un palio selvaggio, con la pioggia una danza infernale di mille folletti colorati a piedi nudi. Ma per loro non é un gioco, ci sono tanti che invecchiano facendolo e, nonostante la fatica stampata sui loro fisici, non riusciranno mai a comprare il pousse pousse o ad attaccarci anche solo una vecchia bici.

Il caotico mercato di Antsirabe

Vecchi, giovani, ognuno racconta il suo sogno: strade asfaltate, case di mattoni, tanti clienti e un risciò di proprietà. Ne parlano mentre tanti loro colleghi dormono pesantemente dopo un giorno di lavoro e forse quel sogno lo stanno facendo. Perché chi lavora così duramente spesso non ha diritto neppure ai sogni.

Anche se un anziano “pousseur”, con negli occhi la forza di Rok (mitico uccello che le antiche leggende narrano trasportasse in volo persino gli elefanti!), ci dice che è riuscito ad arrivare agli 80 anni grazie a quel lavoro, fatto sempre e solo a piedi nudi e con le sue gambe. Qualcuno lo ascolta e forse pensa al vecchio detto malgascio «Stremato dal lavoro come un venditore d‘acqua sotto la pioggia».