Derby è una città britannica di circa 250mila abitanti: centro universitario, aveva accolto con enorme favore le 200 bici elettriche del bike sharing Hourbike, poco più di un anno fa.

Adesso l’esperienza è già al capolinea e, paradossalmente, non perché manchi la domanda, anzi: a costringere il servizio a cessare l’attività sono gli eccessivi costi di manutenzione, gonfiati dagli atti vandalici.

Una storia che mette in evidenza uno dei grandi punti deboli dei bike sharing e della mobilità condivisa, che, anche laddove attecchisce bene, pone spesso di fronte a dei notevoli problemi di gestione.

 

Un terzo delle bici ko

Su un parco mezzi di 200 ebike, distribuite fra 30 stazioni di prelievo e consegna, solo un terzo è mediamente in grado di operare.

La città di Derby, che ha desiderato fortemente il servizio con una domanda forte di 7.000 utenti ed oltre 241.400 km percorsi da giugno 2018 ad oggi, finanziandolo un po’ di tasca propria con un fondo imprenditoriale cui ha partecipato anche il City Council, un po’ con soldi statali e con ulteriori 100mila sterline donate dalla University of Derby, si è rivelata un terreno ostico per l’ebike sharing.

Già dopo la prima settimana di apertura, infatti, le bici a pedalata assistita di Hourbike giacevano abbandonate in giro per il territorio comunale: nell’arco di un anno la situazione è andata degenerando, con veri e propri atti di vandalismo.

Martellate per 500.000 euro

La cifra di 450.000 sterline, all’incirca 500mila euro, è quanto sono costati i vari danneggiamenti subiti da ebike e stazioni: a quanto pare, oltre all’abbandono selvaggio ed ai relativi costi di recupero, i vandali si sono sistematicamente accaniti contro gli schermi delle bici elettriche del bike sharing.

In alcuni casi le parti elettroniche sono state “sradicate” dalla loro sede, in altre prese a martellate, rendendo le bici inutilizzabili.

Questi costi, secondo il managing director di Hourbike Tim Caswell, sono insostenibili malgrado il successo del servizio tra ala parte “sana” di utenza.

 

La si deve lasciare vinta al vandalismo?

Mentre City Council e università si rammaricano per l’eutanasia forzata ai danni di un servizio utile per la comunità ed effettivamente apprezzato dalla stessa, è il caso di chiedersi cosa non funzioni nel sistema.

Sono infatti i bike sharing a proporre uno schema di gestione troppo fallace, che espone il fianco a tutti quei problemi accessori che l’ambiente urbano incontrollato porta con sé, oppure quello di Derby è un caso eclatante?

Non è una novità, sin dalle prime esperienze dei bike sharing negli anni ’90 ed a latitudini decisamente spostate a nord, che il solo costo di recupero e redistribuzione delle bici abbandonate rappresenti una spina nel fianco non da poco.

Photo via DerbyTelegraph

Il modello del free floating (o dockless) in teoria aggirerebbe il problema grazie alla localizzazione via smartphone delle bici, ma comunque non impedisce, anzi, pare incentivare, l’abbandono selvaggio.

È possibile che l’unica risposta da parte di chi progetta un bike sharing, inteso come modello economico, si basi sulla quantità di bici immesse a basso costo sul mercato, in modo da compensare ampie perdite già messe in conto?

Indubbiamente la condivisione della bicicletta ha preso piede più che in qualsiasi altro momento passato, eppure gli esempi di clamorose retromarce non sono isolati.

Quanta parte dipende dal modello di funzionamento proposto e quanta dall’educazione della comunità che tale servizio dovrebbe riceverlo ed usarlo correttamente?