Una delle maggiori sfide che le amministrazioni locali si trovano quotidianamente ad affrontare è senza dubbio quella di garantire le esigenze di mobilità all’interno dei centri urbani sia nel rispetto della salute dei cittadini che della salvaguardia dell’ambiente.  

Ridurre le emissioni inquinanti e limitare la congestione del traffico è ormai diventato un must non solo per le realtà metropolitane ma anche per città di medie e piccole dimensioni dove va parimenti aumentando l’intolleranza per gli ingorghi, lo smog ed il relativo stress da spostamento.

Accanto alle azioni volte a incentivare l’utilizzo di mezzi a basso impatto ambientale e favorire l’impiego dei trasporti pubblici, sono cresciuti negli ultimi anni i progetti locali per sostenere l’uso di strumenti di mobilità alternativa.

Le rilevazioni periodicamente compiute mostrano, a tale proposito, come continui a crescere il numero delle città italiane dove un quarto o più della popolazione fa un uso quotidiano della bici.
photo credit: mikecogh Modes of Transport – Foot and Wheels via photopin (license)

L’esempio virtuoso da tempo registrato a Bolzano, Ferrara, Trento, Pesaro è ora seguito da centri come Ravenna, Rimini, Piacenza, Reggio Emilia, Novara, Padova, Cremona, Pisa, Biella, Pordenone, Venezia-Mestre, Sondrio. Un elenco destinato ad allungarsi che testimonia anche una nuova sensibilità e disponibilità di buona parte dei cittadini verso un cambiamento delle abitudini di spostamento.

Particolare favore, a tale proposito, stanno raccogliendo i servizi di mobilità condivisa che danno la possibilità di scegliere, in forma temporanea, il mezzo migliore per spostarsi in funzione delle proprie esigenze. 

A riprova di ciò il bike sharing, rivolto sia alle bici tradizionali che a pedalata assistita, negli ultimi anni ha mostrato, anche in Italia, una straordinaria vitalità mostrandosi come un possibile interprete efficace della cultura del trasporto intermodale e traendo grande vantaggio dall’innovazione tecnologica che ha reso disponibili idonei strumenti per il suo accesso e utilizzo di massa.

Un successo che va affermandosi nel nostro paese dopo aver accusato per lungo tempo ritardi rispetto alle realtà di altri mercati europei come Olanda, Danimarca, Inghilterra, Spagna e soprattutto Francia dove le realizzazioni di Lione prima e Parigi dopo, rappresentano ancora oggi l’applicazione più significativa al mondo in virtù delle sue 1200 stazioni e la disponibilità di circa 20.000 biciclette. 

photo credit: David McKelvey BikeMi Station, Piazza Duca d’Aosta, Milan, Lombardy via photopin (license)

Italia, primo paese europeo per diffusione

Una crescita del 147% delle bici disponibili rispetto all’anno precedente, 286 sistemi installati, quasi 40.000 biciclette condivise nel 2017, queste le cifre che emergono dal 2° Rapporto Nazionale sulla sharing mobility, edizione 2018, per quanto riguarda il comparto del Bike Sharing in Italia.

Numeri significativi anche perché nel corso del 2018 la tendenza si è ulteriormente consolidata con la nascita e la realizzazione di nuove installazioni, che hanno posto, a sorpresa, l’Italia al primo posto in Europa per numero di servizi di bike sharing attivi.

A prevalere nettamente, alla data del rapporto, sono i sistemi Bike Sharing “dock station”, basati cioè sulle presenza fisica di stazioni di prelievo e riconsegna delle bici, che a fine 2017 rappresentavano il 97% del totale installazioni, seppur in crescita più moderata rispetto all’anno precedente (+40% nel 2016 vs 2015).

L’operatore più significativo per stazioni installate è Bicincittà, presente in 121 comuni con oltre 7.000 biciclette di cui il 12% e-bike.

Segue Clear Channel, operativo a Milano e Verona, con 4.900 bici (20% a pedalata assistita), Ecospazio di Logiss, società fornitrice dei sistemi in 89 comuni con una flotta di 1034 bici per circa la metà elettriche, e TMR presente in 16 comuni con 659 bici di cui il 34% e-bike.

Servizi attivi di bike sharing in Italia

Interessante anche la distribuzione territoriale dei servizi di Bike Sharing che vede, nel biennio 2016-2017 esaminato dall’Osservatorio Sharing Mobility, la prevalenza delle regioni del nord con il 76% delle bici disponibili senza quasi variazione da un anno all’altro.

Raddoppia invece il peso del centro, passando dal 9% del 2016 al 17% del 2017, quasi completamente a discapito delle aree del sud. La giustificazione di ciò, secondo gli estensori del rapporto, risiede nel contributo dato dalle nuove forme di condivisione a flusso libero che hanno interessato quasi esclusivamente le grandi città del nord e del centro Italia. 

A riprova di ciò, a fine 2017, il rapporto rileva che «più di due terzi del totale delle biciclette in condivisione in Italia circola sulle strade di sole 4 città: Milano, Torino, Firenze e Roma, rispettivamente con percentuali pari al 44%, 13%, 8% e 5%».

Una tendenza che sembra destinata a non modificarsi nel breve termine anche alla luce dei vari progetti presentati di nuove installazioni che vedono ancora prevalere regioni come l’Emilia-Romagna, la Lombardia, il Lazio e la Toscana. 

Valgono, anche in questo caso, le considerazioni fatte da molti operatori sulla cultura della mobilità in bicicletta ed il suo radicamento storico sui territori e la conseguente difficoltà ad affermare, in alcune aree, un rovesciamento delle gerarchie per cui andare in auto diventi l’opzione meno facilitata.

Localizzazione dei servizi di Bike Sharing in Italia per macro aree

Il “free floating”: realtà o meteora?

La vera novità, nell’ambito del Bike Sharing, esplosa a fine 2017, si chiama però free floating o dockless, cioè l’avvento di sistemi di condivisione che prevedono il prelievo ed il rilascio della bici in un qualsiasi punto all’interno della zona caratterizzata dal servizio. 

Il sistema, supportato dallo sviluppo di tecnologie digitali che consentono la localizzazione dei mezzi e la gestione operativa, dallo sblocco della bici alla sua riconsegna e relativo pagamento, dopo essersi affermato in Cina, Stati Uniti ed alcuni paesi europei, ha debuttato in Italia conquistando importanti piazze quali Milano e Firenze, grazie anche ad una politica commerciale molto aggressiva. 

Ha presentato inoltre l’oggettivo vantaggio di semplificare le procedure d’accesso al servizio stesso ed adottare metodologie ben conosciute dal pubblico giovane. Dalla parte dei gestori ha poi consentito un forte risparmio sui costi di impianto e conduzione.

A fronte di ciò, però, non pochi sono stati i problemi denunciati che vanno dal vandalismo, alla sosta selvaggia con intralcio della circolazione, allo scarso studio e controllo dei flussi di traffico da parte degli operatori, quasi tutti di provenienza cinese e, forse, non avvezzi a relazionarsi con chi gestisce il territorio.

La convinzione di poter replicare lo stesso modello in diverse parti del mondo non ha in realtà trovato conferma e nel volgere di meno di un biennio sta producendo non poche retromarce in diversi paesi europei.

Numero biciclette condivise in Italia per tipologia

In Italia, dopo i primi mesi di lancio e gli entusiasmi suscitati in alcune città (Mobike e Ofo, operatori entrambi cinesi, con obiettivi a regime rispettivamente di 8.000 e 4.000 bici a Milano e 4000 a Firenze) hanno già ridimensionato le loro attese. 

Ofo addirittura ha abbandonato tutti i paesi in cui era presente (ben 21 nazioni per un totale di 250 città) che solo pochi mesi fa pensava di conquistare ed è tornata in Cina dichiarando esplicitamente l’impossibilità di trovare un equilibrio sostenibile economicamente con le esigenze di una domanda indubbiamente meno globalizzata delle sue previsioni.

Malgrado ciò, pur in un generale ridimensionamento dei numeri, l’esperienza del free floating continua cercando una non impossibile modulazione con le esigenze della clientela, le norme di civile convivenza e le regole poste dalle amministrazioni pubbliche. 

Un esempio di ciò è offerto dalla città di Bologna, che proprio sulla base del rispetto di queste semplici regole, ha siglato un accordo con Mobike per l’erogazione del servizio nella città felsinea che prevede la disponibilità di 1000 bici che diventeranno 2500 a regime, di cui 250 a pedalata assistita. Il servizio, seppur a flusso libero, prevede la presenza di 200 Mobike Hub che sono veri e propri spazi riservati alla sosta, al di fuori dei quali (utilizzo a flusso totalmente libero, ma sempre nel rispetto del Codice della strada) è previsto il pagamento di un sovrapprezzo.

Il contratto prevede inoltre un servizio operativo su strada per gestire guasti, atti di vandalismo, manutenzione e riequilibrio della flotta bici in funzione del suo reale utilizzo.

Largo alla Micromobility

È notizia recente che Lime Bike, start up americana impegnata nei servizi di bike sharing, abbia abbandonato l’e-bike per proporre in condivisione i monopattini elettrici, in alcune aree del mondo chiamati e-scooters.

La svolta sembra sia dovuta alla convinzione che l’e-bike non risponda più alle esigenze di trasporto della clientela, mentre i monopattini abbiano davanti un futuro di grande crescita. Il clima della California e la volontà di un’utenza che desidera faticare il meno possibile completerebbero poi il quadro.

Si sa però che spesso proprio dagli States rimbalzano le mode e la notizia che Lime abbia iniziato in Italia i primi test-day per i suoi monopattini elettrici, come vi abbiamo comunicato alcuni giorni fa, induce a qualche considerazione.

Stabiliamo innanzitutto che la micromobilità, l’uso cioè di quei piccoli mezzi di trasporto a batteria come monopattini, segway, hoverboard pur essendo da tempo in continua evoluzione, non ha ancora, nel nostro paese, licenza di accesso alla circolazione.

Un recente decreto legislativo dà però via libera ad una sperimentazione che dovrà accertare la compatibilità di questi mezzi con la circolazione stradale in modo da stabilirne le regole di omologazione, le caratteristiche, l’inquadramento normativo (bici o veicolo?) e promuoverne il libero uso.

L’attenzione quindi è viva anche nel nostro paese anche se l’indispensabile decreto attuativo (atteso per gennaio 2019) non è ancora stato emanato anche se sollecitato da tutte quelle associazioni, come Legambiente, che vedono nell’utilizzo responsabile della micromobilità un modo innovativo per decongestionare il traffico cittadino e combattere l’inquinamento atmosferico.

Alcune stime quantificano il fenomeno in Italia in 50.000 unità vendute nel corso del 2017 anche in assenza di un permesso di circolazione e di norme che certifichino le caratteristiche di molti dei dispositivi commercializzati.

McKinsey – Stima mercato micromobilita

Ben più importante appare però la sua dimensione potenziale su un piano internazionale. La società di consulenza McKinsey ha effettuato uno studio specifico sulla micromobilità, in particolare condivisa, per pervenire ad una valutazione del suo reale potenziale.

Esso sottolinea come alla base dell’interesse suscitato si possano individuare, da una parte, il favore che in tutto il mondo le formule di condivisione dei mezzi di trasporto urbano stanno riscuotendo a discapito dell’utilizzo o addirittura della proprietà di un mezzo privato, dall’altra, la possibilità offerta da dispositivi come monopattni, segway, monoruota di muoversi rapidamente nel traffico caotico delle grandi metropoli vivendo una esperienza di libertà all’aria aperta dai connotati particolarmente giovani.

Inoltre, il loro uso offre possibilità concrete di realizzare quella mobilità integrata, grazie anche alla trasportabilità sui mezzi pubblici della maggior parte dei prodotti in vendita, che le amministrazioni locali da tempo perseguono.

photo credit: Markus Binzegger No Food, Drinks And Micro Scooters Allowed Inside. via photopin (license)

Dall’analisi di McKinsey emerge che in Europa la stima del mercato potenziale raggiungerà i 100-150 miliardi di dollari nel 2030, nella convinzione che esso potrebbe interessare gran parte degli spostamenti al di sotto degli 8 chilometri che oggi rappresentano il 50-60% dei percorsi urbani in Cina, Stati Uniti, Unione Europea stessa.

Prudentemente comunque il rapporto stima che solo un 8-15% di tali tragitti sarà cannibalizzato dalla micromobilità a causa della sua idoneità non ancora provata a rispondere a molte situazioni specifiche, delle condizioni atmosferiche non sempre favorevoli, delle normative che porranno vincoli anche di età al suo impiego, delle norme di sicurezza che saranno probabilmente imposte.

Resta il fatto che, al di là delle barriere d’accesso e dei tempi necessari al loro superamento, la micromobilità può avere un potenziale enorme come antidoto alla congestione delle città, soprattutto dei centri storici, e all’inquinamento ma dovrà necessariamente trovare le modalità di convivenza con gli attuali sistemi di trasporto in uso e definire le infrastrutture necessarie alla sua praticabilità in sicurezza. 

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