Non tutto ciò che ruota attorno al mondo del bike sharing è necessariamente positivo: in un trend che, generalmente, parla di espansione a ritmi eccezionali per alcuni, c’è anche chi paga lo scotto di una crescita eccessivamente rapida. Il riferimento è al terzo gestore cinese di questo tipo di servizi, Bluegogo, dato per quasi certamente fallito dalla stampa locale.

Affermatosi come terzo pretendente a quello scettro per cui già competono i connazionali ofo e Mobike, Bluegogo ha vissuto una parabola tanto rapida nel crescere quanto, pare adesso, veloce nel precipitare.

Lanciato soltanto in gennaio, in 6 mesi la società era riuscita a mettere in campo ben 600.000 bici a noleggio ed a raccogliere adesioni da 20 milioni di utenti. Numeri da Cinesi, certo, ma non solo: Bluegogo aveva messo la testa anche al di fuori dei confini asiatici, arrivando a San Francisco e Sydney.

La stampa cinese ventila l’ipotesi che Bluegogo abbia accumulato circa una trentina di milioni di dollari di debiti, il che le renderebbe impossibile non solo proseguire nelle sue attività ma anche restituire le quote chieste agli utenti di tutto il mondo per accedere al servizio.

Cosa avrebbe portato tanto rapidamente Bluegogo in cattive acque?

photo credit: Kentaro IEMOTO bluegogo pro via photopin (license)

Pur non essendovi nulla di certo, il fantasma che si paventa è quello della bolla speculativa.

La crescita esponenziale di queste società lascia adito ad illazioni in merito e, come in ogni operazione societaria che si rispetti, richiama ad una certa prudenza di fronte a tanta velocità.

Vi è però anche una ragione interna agli affari cinesi stessi: ben 13 metropoli del Paese hanno messo un tetto all’espansione dei bike sharing che non si appoggiano sulle classiche stazioni di prelievo e rilascio.

La motivazione è il disordine creato da un aumento indiscriminato delle biciclette lasciate dove capita nelle strade, che, con il tipico fattore di moltiplicazione asiatico (stiamo parlando di città da milioni di abitanti), raggiunge livelli incontrollabili. Si pensi che, secondo il Ministero dei Trasporti di Beijing, gli operatori di bike sharing attivi sono una settantina e le bici gestite circa 16 milioni, per un’utenza di 130 milioni di persone.

Azzoppare, però, i sistemi cosiddetti “free floating” relega i gestori proprio a quei vincoli che ribaltano la convenienza del sistema, ossia il recupero fisico delle biciclette per garantirne una costante equa distribuzione sul territorio servito e la manutenzione degli stalli.

Anche per questo molti brand cinesi si sono avventurati al di fuori del mercato di casa, in cerca di terre che ancora non conoscano questo problema.

La domanda è: quando esso si proporrà anche nelle nostre città – probabilmente non tra molto, data la scala ben più contenuta – i bike sharing di nuova generazione si riveleranno bolle di sapone o si tratta di un falso problema?