Uber cambia modello: dai taxi “privati” agli spostamenti individuali. Protagonista sarà sempre di più la bicicletta elettrica, assieme agli e-scooter, in un’interpretazione delle future tendenze del trasporto intermodale urbano che dovrebbe riportare Uber in attivo.

 

Uber bike sharing: prospettive a lungo termine

«Nell’immediato, almeno dal punto di vista finanziario, forse non sembrerà una scelta vincente ma strategicamente sul lungo termine pensiamo sia esattamente quello di cui abbiamo bisogno».

Così parla al Financial Times Dara Khosrowshahi, numero uno della più discussa società di mobilità degli ultimi anni.

«Negli orari di punta non è né conveniente, né efficiente che un “mostro” metallico di una tonnellata di peso si prenda in carico le esigenze di 10 persone», ha affermato Khosrowshahi, dichiarando superata l’era del trasporto di massa condiviso.

Uber JUMP Germania

Molto meglio dunque iniziare ad investire su quella che si rivelerà presto la vera forma di mobilità del futuro prossimo, ossia quella individuale. Per questa ragione – per la verità sotto gli occhi di tutti, data l’esplosione planetaria del bike sharing e, più in generale, della bici – Uber ha lanciato il servizio Jump, dotandosi di una serie di flotte di bici a pedalata assistita.

L’idea di Uber per risollevarsi è sempre più quella di sganciarsi dalla competizione con i taxi, approcciando lo spazio ancora “brado” del bike sharing.

 

 

Bike e scooter sharing: è il momento giusto?

Uber ha stretto una serie di collaborazioni per garantirsi la possibilità di fornire biciclette e scooter elettrici ai suoi utenti, cogliendo un momento storico che vede impennarsi l’utilizzo delle due ruote a pedali.

Quando la notizia della scelta di lanciare Jump arrivò tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018 si era in piena ondata espansiva dei cosiddetti bike sharing “free floating, ossia di quei servizi di noleggio bici che non hanno stalli fissi di prelievo e rilascio dei mezzi, appoggiandosi totalmente sulla localizzazione e sblocco delle bici tramite app.

Il 2018 ha però anche visto una contrazione della popolarità di questi metodi, conseguente soprattutto alle difficoltà di gestione di un simile servizio: l’incuria di una parte di utenza pesa sull’ordine pubblico, con abbandoni improbabili delle biciclette, furti delle stesse ed una continua necessità a ricambiare il parco mezzi, che in quanto a costi bilancia le mancate uscite per i tradizionali recuperi in giro per la città.

Credit: Jump Bikes on Facebook

 

 

Una dura critica al modello “free floating” è arrivata anche da svariate municipalità in giro per il mondo: proprio in Cina, madre delle principali società che hanno colonizzato il mercato europeo e statunitense della bici condivisa, alcune metropoli hanno irrigidito notevolmente la loro posizione a riguardo, dopo essersi trovate i marciapiedi invasi da bici abbandonate a casaccio.

Poiché tutto il mondo è paese, come recita l’antico proverbio, è dunque sotto gli occhi di tutti che il bike sharing – ottima soluzione per la mobilità urbana, questo è indiscusso – può presentare dei limiti, specie nella sua versione più “autogestita”.

L’espansione di Uber in questo settore sta giungendo sul filo di questi ragionamenti: i vertici dell’azienda si dicono certi del ritorno, in futuro, dell’operazione ma viene spontaneo chiedersi se i recenti fallimenti sui mercati occidentali di alcuni grossi bike sharing free floating di marca asiatica non siano un monito.

 

 

 

Uber punta a recuperare le perdite

La scelta di investire sul bike sharing Jump – già attivo a New York, Washington e in altre 8 città degli States, nonché in arrivo a Berlino – arriva dopo una serie di difficoltà incontrate da Uber nel differenziare i propri affari.

Frenata nella crescita dalle norme restrittive che molte municipalità le hanno imposto a proposito della concorrenza ai taxi licenziati, la società ha approcciato, oltre alle bici ed agli scooter a noleggio, il settore delle consegne alimentari.

Questi sforzi si sono, per adesso, convertiti soprattutto in uscite economiche senza ancora un ritorno positivo: l’anno scorso Uber ha perso circa 4 miliardi e mezzo di dollari ed è sotto pressione per riportare i suoi bilanci in attivo.

La mobilità individuale è la strada giusta, quella che in capo a qualche anno ripagherà di tutti gli sforzi compiuti: avrà ragione?