Una marcia attraverso Lisbona, 10mila firme e 500 obiezioni scritte recapitate direttamente all’autorità stradale portoghese: così ciclisti ed associazioni relative in Portogallo si sono opposte all’approvazione di un disegno di legge in favore del casco in bici.
La proposta era approdata ad una fase di consultazione pubblica dopo la pausa natalizia dei lavori al governo ma adesso vive un nuovo slittamento: la questione del casco proprio non va giù all’utenza ciclistica lusitana.
Le associazioni pro bicicletta portoghesi vedono il casco come un deterrente, pronto a falcidiare il consenso di cui invece godono i pedali da alcuni anni a questa parte: dal 2010 al 2015, contemporaneamente ad una decrescita delle morti per incidenti stradali del 37% e del 17% tra i ciclisti, le due ruote portoghesi hanno vissuto una crescita.
Adesso, con lo spauracchio del casco, si teme un’inversione di tendenza a discapito di reali contromisure per la sicurezza di chi utilizza la bicicletta in città: il PENSE 2020, o Plano Estratégico Nacional de Segurança Rodoviária, allo studio del governo di Lisbona dovrebbe concentrarsi, secondo la European Cyclists’ Federation, sull’approvazione di un nuovo codice della strada in grado di tutelare chi non va in macchina anche attraverso lo studio sistematico di nuove infrastrutture apposite.
Per la ECF e le diverse organizzazioni attiviste del ciclo in Portogallo il vero punto della questione-sicurezza sta nel sensibilizzare gli automobilisti nei confronti dell’alta velocità e del rispetto di precedenze e strisce pedonabili o ciclabili, aspetti sui quali l’autorità stradale portoghese avrebbe fatto ancora troppo poco.
Va chiarito che il casco, pur non essendo obbligatorio, è fortemente raccomandato proprio dagli organi di polizia nazionali del Portogallo: è quindi tutto da vedere se la battaglia può considerarsi conclusa, sebbene i rappresentanti della ECF nel Paese abbiano accolto la vittoria come un segno di dialogo e di collaborazione da parte del governo di Lisbona.