Ciclisti e sicurezza sulle strade. Quante volte in questi ultimi anni ne abbiamo parlato… E del casco obbligatorio che ne pensate? Ecco il nostro parere.

Il casco serve, eccome se serve!

Il punto d’impatto violento con l’asfalto nella parte destra ha causato una rottura orizzontale netta della speciale struttura interna in alluminio e conseguente visibile deformazione, anche esterna, del casco – PH Credit Roberto Zanetti

Il casco protettivo, oltre ad essere anche un indispensabile ed elegante accessorio tecnico del ciclista moderno, indossato correttamente sia in gara (dov’è obbligatorio) che in allenamento (dove obbligatorio non è ma dovrebbe esserlo) può salvare la vita in caso di caduta o impatto violento. E di vita, come si sa, ce n’è una sola. Purtroppo ci sono ancora tanti “fenomeni” che non ne fanno uso, oppure con eccessiva leggerezza lo appoggiano con il cinghietto sulla piega manubrio della bici. Li abbiamo visti coi nostri occhi in salita o in pianura; forse pensano che, tranne in discesa, in bici non si possa cadere e nemmeno battere la testa. A cosa serve usarlo così? Sinceramente non lo sappiamo, bisognerebbe chiederglielo. Forse a proteggere il comuputerino o forse il casco è solo un optional ingombrante? Sta di fatto che il telaio o un componete della bicicletta – se danneggiato – lo si ripara o lo si sostituisce. Il cranio no, quello si rompe, sanguina, fa male e le conseguenze che derivano da un forte impatto col terreno sono la maggior parte delle volte devastanti, gravi o tristemente letali.

Il nostro pensiero

L’estate scorsa pedalando sul lago (lago Maggiore in direzione Arona/Stresa, N.d.R.), abbiamo incrociato in ordine sparso sulla nostra strada una decina di ciclisti privi di casco che sfrecciavano in mezzo al traffico di vacanzieri domenicali. Per quanto ci riguarda così non va bene. La scusa del caldo o del peso oggi, con i nuovi materiali utilizzati per la costruzione del casco, non regge. Le aziende produttrici mettono in commercio caschi da bici leggeri, comodi, sicuri e soprattutto omologati con le più severe certificazioni che il mercato richiede.

Il casco Limar Air Pro in dotazione al Team World Tour Astana – PH Credit Limar

Quindi niente storie, il casco lo si usa e basta. Non ci devono essere deroghe o favoritismi per nessuno cominciando da alcuni professionisti che, gara a parte dove vige l’obbligo d’indossarlo e pensando di essere degli “highlander” (immortali), spesso in allenamento non lo mettono.

Se l’esempio deve venire dall’alto bisogna cominciare proprio da loro che per molti giovani rappresentano degli idoli da emulare. E poi una bella ritoccatina al codice della strada, come esiste già in altri stati europei e nel mondo dove il casco per qualsiasi tipologia di ciclista è obbligatorio, sarebbe anche ora di darla. Solo così potremmo adeguarci a popoli “ciclisticamente” più evoluti e a limitare il numero di vittime che troppo spesso andiamo a piangere sulle nostre strade.

Cosa fare per educare?

Per prima cosa bisognerebbe partire da una corretta informazione di come e perché lo si usa, cominciando dalle scuole elementari, magari con la testimonianza diretta nelle classi da parte della Polizia Municipale o delle forze dell’ordine (Polizia Stradale e Carabinieri). Poi, come è stato detto poc’anzi, sarebbe opportuno che il mondo del professionismo si faccia promotore di iniziative e campagne a favore dell’uso obbligatorio del casco. Infine i produttori medesimi dovrebbero fare in modo di incentivare e stimolare i ciclisti ancora scettici o restii; far capire loro l’importanza di indossare sempre il casco anche solo per una gita fuori porta con la famiglia. Pochi semplici gesti e una volta calzato il caschetto sulla testa, un’aggiustatina al cinturino e una alla chiusura micrometrica, vedrete che pedalare in sicurezza diventerà sicuramente più bello per tutti.