Si è concluso più di un anno fa, con la firma di un protocollo di intesa, un importante negoziato tra la Commissione Europea e il Vietnam finalizzato a liberalizzare gli scambi commerciali tra i due partner attraverso la progressiva reciproca rimozione degli attuali dazi doganali. L’accordo stipulato dal Commissario Europeo per il Commercio Cecilia Malmström, dovrà essere ratificato dal Parlamento europeo e segue, per contenuti e modalità, le analoghe intese di libero scambio sancite con Singapore, Corea del Sud e Canada nel quadro di una politica europea di espansione delle sue relazioni commerciali.

In tal senso il Vietnam rappresenta un potenziale mercato di oltre 90 milioni di persone che esercitano una forte attrazione per le industrie europee così come la disponibilità di una manodopera qualificata, il basso costo del lavoro e gli incentivi agli investimenti in alcuni settori come l’hi-tech o l’ambiente o in alcune zone particolari.

Il protocollo prevede l’attuazione dell’accordo in un arco temporale di cinque anni per quanto riguarda i dazi all’import da Hanoi all’Unione Europea, con diverse modalità in ragione della specifica merceologia, e di sette per quanto riguarda l’export verso il Vietnam.

La sua applicazione prevede anche il rispetto degli standard Ilo (International Labour Organization) dettate dal diritto del lavoro internazionale con particolare riferimento al dumping sociale ed alle condizioni ambientali.

Il nodo dei diritti umani

Ed è proprio questo il problema – chiarisce Fioravanti – la ratifica dell’accordo è fortemente messa in dubbio dalle perplessità che sono state sollevate in sede di Parlamento europeo relative alle condizioni di lavoro che il regime comunista di Hanoi tollera nelle imprese che operano sul suo territorio.

Le maggiori riserve sono legate alla mancanza di pur minimi diritti dei lavoratori, costretti a svolgere le proprie attività senza requisiti di sicurezza, in assenza di coperture sindacali e quindi con la possibilità di essere licenziati senza reali motivazioni.

Tutto ciò ha messo in forte difficoltà la commissaria Malmström in quanto crea un precedente capace di  porre in discussione i trattati di libero scambio concordati anche con altri paesi del sud est asiatico. Ne sono prova l’interruzione dei contatti commerciali con le Filippine e la revisione dell’accordo stipulato con la Corea.”

Il settimanale indipendente europeo Politico, in un suo recente report ha indicato nel presidente francese Emmanuel Macron uno dei maggiori assertori della necessità di includere negli accordi commerciali sanzioni nei confronti di quei paesi che non rispettano i diritti dei lavoratori in modo da dimostrare che l’UE è in grado di esercitare una reale protezione dalla concorrenza sleale dei produttori asiatici.

La posizione di Macron, in estrema sintesi, richiede che l’Unione Europea possa sospendere le agevolazioni tariffarie doganali a quei paesi che non rispettano le norme di sicurezza, l’ambiente ed i tempi di lavoro, ma anche diritti come la libertà sindacale, le regole di assunzione e di licenziamento, la possibilità di contrattazione collettiva.

Per contro l’approccio scelto dalla commissaria Malmström è stato quello di cercare una via diplomatica al dissenso cercando di mediare con Hanoi senza minacciare il ricorso a sanzioni e sollecitando il segnale di aver intrapreso la corretta via.

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Tempi lunghi

Al momento il risultato sembra limitarsi, secondo il settimanale Politico, all’ imbarazzo espresso da funzionari vietnamiti nel dover cambiare il proprio codice del lavoro, cosa secondo loro non prevista dall’accordo o comunque non vincolata ad un preciso calendario per la realizzazione di tale cambiamento.

“In queste condizioni – sostiene ancora Fioravanti – non è prevedibile una ratifica a tempi brevi dell’accordo e, come sostengono in particolare i membri del Gruppo Socialisti e Democratici del Parlamento Europeo, esso, correttamente, potrà avvenire solo dopo che sono stati constatati reali progressi da parte del Vietnam, sui diritti umani e del lavoro.

Per quanto riguarda il nostro impegno a salvaguardia delle industrie del ciclo, questa posizione è in linea con la volontà di mantenimento di tutte quelle misure, antidumping in primis, che sono idonee a tutelare la competitività delle nostre aziende che operano nel rispetto di norme e valori condivisi in tutta Europa.

Riteniamo anzi che vada rafforzato anche il monitoraggio a garanzia del rispetto delle attuali normative superando il problema, talvolta riscontrato, delle carenze nei controlli doganali all’ingresso della Comunità Europea sulle merci provenienti da paesi asiatici.

In particolare siamo convinti che mantenere viva la nostra industria sul territorio europeo serva a dare maggiore impulso e sviluppo all’intera merceologia. Ne è prova la bici a pedalata assistita che ha trovato terreno fertile in Europa proprio perché erano e sono presenti industrie sul territorio in grado di sostenerne l’evoluzione e favorirne la diffusione. Non dobbiamo infatti dimenticare che la e-bike, così come oggi la intendiamo, può ben dirsi che sia stata inventata dai produttori europei sia sul piano tecnologico (concetto di pedalata assistita, sviluppo delle motorizzazioni etc) che su quello della definizione normativa.

Certo per fare ciò sono necessari costanti investimenti che non possono essere vanificati da azioni di dumping che i produttori asiatici, alle prese con forti esuberi produttivi, fanno ai nostri danni. Per questo continueremo ad essere favorevoli a misure di protezione commerciali che consideriamo legittime per mantenere una corretta competitività di mercato”