Se dici acciaio, in bicicletta, automaticamente finisci col parlare di vintage. E se parli di vintage il collegamento immediato è con l’Eroica, quella manifestazione nata un po’ per caso, ma neanche tanto, a Gaiole in Chianti, provincia di Siena. Una parte bella d’Italia che difatti conoscono molto bene, Tedeschi, Inglesi, Americani e così via (in ordine di grandezza tra i partecipanti alla manifestazione toscana – dopo gli Italiani ovviamente). L’acciaio fa riferimento a un modo di fare i telai che presuppone un rapporto diretto tra telaista, telaio e ciclista. Un rapporto di amicizia e di parentela che poi, per il ciclista, si traduce sulla bicicletta.
Non pensate che la personalizzazione sia una questione estetica. Tutt’altro. Un telaio cambia con l’inclinazione dei suoi tubi, la guida si modifica profondamente a seconda della curvatura della forcella. Non conta solo il “rake”, termine inglese che dice, freddamente, quanto sono avanzate le punte della forcella rispetto allo sterzo.
Chi fa i telai in acciaio dice che con questo materiale, ci si parla. Ora, io non ho mai fatto telai in acciaio (e neanche in altri materiali), ma ne ho pedalati un po’ di tutti. E con l’acciaio, è vero, ci parli anche quando sei in sella. Quando si affronta una curva l’acciaio “ascolta” come metti il peso, e ti risponde di conseguenza, mai duramente. Assorbe il tuo peso e le forze generate dalla curva e ti “risponde” di conseguenza.
Ecco, con le fisse è lo stesso. Anche se sono “solo” telai recuperati e senza alcuna personalizzazione della misura, che in molti casi – ammettiamolo non ha neanche senso, l’acciaio è in grado di dialogare con chi ci pedala su. Una sensibilità che si affina con l’uso e a maggior ragione se si ha la ruota fissa che fa sentire ancora di più la bicicletta come un’auto con la marcia sempre ingranata. Se poi ci andate in città, l’acciaio lo sentirete cantare spesso, anche senza i colpi sul batticatena.