È una congiunzione che può apparire misteriosa quella che lega il ciclista urbano, appassionato di single speed e fixed al corridore agonista. Istintivamente non sembrano esserci legami, anzi: mondi completamente diversi tra chi ha iniziato a correre da ragazzino e pensa al risultato e chi pedala per una risata e una birra con gli amici oppure, semplicemente, per spostarsi.
Mondi così diversi da guardarsi quanto meno con prudenza, se non con sospetto: uno odia le esasperazioni agonistiche, l’altro uno stile che giudica “da fighetti”, incompatibile con la vita dell’atleta agonistica.
L’incontro è partito proprio dal mondo delle fixed, chi l’ha detto che rifiuta il mondo dei corridori? Anzi, sono loro spesso che si organizzano a vedere il Giro delle Fiandre tutti insieme, magari sognando di partecipare a quella granfondo strepitosa che precede il santuario del ciclismo del Nord. E sono proprio i “fissati” che, recuperando la storia del ciclismo, si sono impegnati a salvare un altro santuario nostrano: il Vigorelli. Avete presente cos’è il Vigorelli nella storia del ciclismo? Santi e fantasmi, glorie e lacrime e spettacolo, perché quando c’era la Seigiorni era un evento strepitoso. Il ciclismo era il contorno dello spettacolo che attirava le signore, lo spettacolo era il contorno del ciclismo che attirava gli uomini col cappotto. I corridori si pettinavano e sorridevano e cantavano, e attiravano anche loro le signore. I ragazzini sognavano di girare prima o poi su quella pista che sulle curve non si sta in piedi per quanto è piegata su se stessa. Una curvatura perfetta che solo artisti e campioni sapevano interpretare al meglio per farsi scodellare sul rettilineo più veloci che mai.
Ora c’è un comitato, nato spontaneamente, per recuperare quella pista che è stata frettolosamente dimenticata. Ha zoppicato quando la grande nevicata del 1985 ne aveva fatto cadere la copertura, ma poi è stata definitivamente abbandonata, al punto che girare in pista è diventato, via via, pericoloso anche a piedi.
Il comitato, pensate un po’, è composto da ciclisti urbani. Quelli che non l’avreste detto all’inizio della storia. Invece sono proprio loro a darsi da fare per recuperare l’epopea del ciclismo scritta nel cuore della città, fatta anche di numeri al telaio e sulla schiena. È una lotta contro le istituzioni che, addirittura, avevano pensato di buttarlo giù il velodromo, per fare spazio ad altro. Pensieri blasfemi di mercanti nel tempio che trovano scuse per dire che il ciclismo deve andare altrove. Un comitato preso in giro dal ciclismo “che conta” e poi rivalutato oppure svalutato a seconda della convenienza. Un comitato che si dà così tanto da fare da essere contattato prima lui, per ricevere le offerte di rifacimento della pista, che gli organi ufficiali. Offerte serie, di chi le piste le sa fare. Non le proposte di qualcuno pronto a cavalcare l’onda a poco prezzo a costo di pensare: «anziché rifarla tutta pensiamo a rivestirla con una nuova copertura» non considerando che la pista ha misure precise che si perderebbero aumentandone lo spessore. Ecco, la situazione è questa ma si sta andando avanti. D’altra parte il bicchiere è più che mezzo pieno se si considera che solo un paio d’anni fa si dava quasi per scontato l’abbattimento del velodromo e ora stiamo a discutere di come ripristinarne la pista. No?