Il 2018 è stato un anno dominato, sul fronte import-export, dalle accuse di dumping mosse dalla European Bicycle Manufacturers’ Association (EBMA) nei confronti della Repubblica Popolare Cinese e delle sue aziende.

La Commissione Europea ha infine accolto, al termine di un’investigazione durata mesi, le accuse, imponendo una serie di severi dazi sull’importazione di biciclette a pedalata assistita dalla Cina. Nel frattempo, però, sta tornando in auge la sorte di un’altra famiglia di tassazioni antidumping già in vigore da tempo, ossia quella sulle biciclette tradizionali di fabbricazione cinese.

bici tradizionali

Dazi sotto revisione

Lo scorso Giugno sarebbero infatti decaduti i dazi antidumping sulle bici tradizionali cinesi se la EBMA non avesse formalmente richiesto alla UE una revisione degli stessi.

Pari al 48,5% del valore della merce, essi sono stati prorogati in attesa che la Commissione Europea porti a termine la sua “Expiry Review” sulle biciclette prodotte nella Repubblica Popolare Cinese.

Nei mesi scorsi sono state compiute anche delle ispezioni a sorpresa nelle sedi di alcune aziende tra quelle interessate, con la possibilità di presentare commenti e rimostranze sino al 22 Febbraio 2019: dopodiché, il primo Giugno 2019, la Commissione emanerà la sua decisione sul mantenimento dei dazi, con effetto immediato.

Crescono le importazioni di bici cinesi

Alla radice di questa ennesima investigazione sulla manifattura cinese e le sue importazioni verso l’Europa vi è la volontà di capire se la crescita di queste importazioni, malgrado i dazi già presenti (48,5% antidumping, sommato ad un 14% doganale), sia giustificabile senza dolo.

bici tradizionali

Secondo Eurostat, tra 2015 e 2016 sono entrate sul suolo europeo circa 300mila biciclette di fabbricazione cinese e, solo l’anno successivo, il 2017, ne ha registrate 466mila. Una crescita che è proseguita nel 2018, nel quale i primi 9 mesi hanno superato gli anni precedenti con 540.000 unità importate.

La giustificazione a portata di mano è che tale incremento sia dovuto alla letterale esplosione dei bike sharing sul suolo continentale europeo: la maggior parte di essi sono fondati o gestiti da società cinesi e dalle loro sussidiarie estere, che per il parco mezzi si riforniscono in madrepatria.

L’investigazione della UE mira proprio a capire se questa non sia solo un’analisi superficiale di un fenomeno diverso: il risultato sarà pubblicato sull’Official Journal of the European Union il prossimo primo Giugno 2019.