Stromer, il brand controllato dalla svizzera BMC, ad Eurobike ha portato la sua gamma 2017 forte di implementazioni di categoria premium, come va di moda definire oggi i prodotti di qualità. Al di là dei dati materiali ha però lanciato un quesito di fondo che potrebbe essere alla base di un nuovo paradigma di mobilità: davvero stiamo ancora parlando di sole e “semplici” bici?

L’offerta di Stromer è riassumibile in tre capisaldi: il continuo aggiornamento tecnologico dei prodotti, un approccio finanziario elastico ed un’interpretazione dell’e-bike che la rende protagonista dello spostamento in città.

La bicicletta elettrica, per Stromer, è dunque più che un semplice mezzo di trasporto “cugino” delle più nobili auto o moto; al contrario, è un valore aggiunto in termini di risparmio, gestione del tempo e dello spazio che ne fanno un investimento per tutta la comunità urbana.

Ammesso e non concesso che la stessa comunità sia pronta a recepirlo.

 

Stromer ad Eurobike ha fatto una scelta di campo, puntando forte su quella parte della sua gamma che, in molti Paesi della UE, non trova una facile collocazione legislativa.

Va infatti subito detto che il top della Casa svizzera parla di motori da 500 W, ergo di velocità doppie rispetto a quelle che l’Unione (ed i codici della strada di molte nazioni) contemplano per i pedelec.

Inserendosi in quella che è una tendenza ormai riconosciuta in diversi Paesi, soprattutto del centro-nord Europa, Stromer fa propria l’idea che le municipalità e gli utenti dovrebbero incentivare, da una parte, ed accogliere, dall’altra, una trasformazione della mobilità urbana che vada a vantaggio dell’ecologia, della decongestione dei centri città e di un generale ridimensionamento degli sprechi.

Una sorta di teoria della decrescita felice applicata alle e-bike, insomma.

 

Ecco allora che il discorso assume un senso: la bicicletta elettrica ha ragione di superare i 25 km/h (frutto dei 250W consentiti al motore per potersi definire “bici” e non ciclomotore o “moped”) e di chiedere dunque uno status specifico che non la metta sullo stesso livello di moto e scooter, in un confronto di prezzi e prestazioni poco sensato.

Ed ecco, ancora, che trova la sua dimensione la strategia proposta da Stromer per rendere l’acquisto di una sua e-bike accattivante, ossia il leasing, esattamente come per un’auto.

Chiaramente, un minimo di humus culturale e normativo deve esserci: non è un caso che l’iniziativa sia per il momento rivolta alla sola Germania.

Lì, infatti, si registrano due fattori che rendono praticabile la via dell’e-bike come mezzo di trasporto urbano di massa: il primo è l’estensione, per effetto di una norma del ministero federale delle finanze, di quei privilegi tipici riservati alle 4 ruote anche alle due ruote, siano esse moto o bici. In pratica, se un’azienda fornisce un mezzo di trasporto ad un dipendente, questo viene tassato allo stesso modo, non fosse che il pedalare ne è escluso, avvantaggiando dunque le società del settore bici nel momento in cui offrono un leasing.

Il secondo è la liquidità media che circola nel Paese: i Tedeschi (ma lo stesso discorso si può estendere a Svizzeri, Olandesi, Danesi, etc.) pare siano meglio disposti nei confronti di una e-bike che costa quanto un ciclomotore, se le prestazioni ne sono degne.

 

Stromer ha pertanto le sue buone ragioni ad inaugurare l’opzione del leasing per i suoi clienti, aziende interessate a flotte di e-bike come privati o rivenditori, agevolati nel poter disporre in negozio di un prodotto vendibile senza aver intanto dovuto pagarlo anticipatamente. Allo stesso modo ha senso il suo puntare su e-bike con dotazioni premium class, autonomie da 150-180 km e 45 km/h di velocità.

Solo in Germania c’è un bacino d’utenza potenziale costituito da 30 milioni di pendolari, l’82% dei quali non copre nemmeno 30 km al giorno di spostamento, cita la stessa azienda da uno studio firmato Rose Versand GmbH.

Volendo soffermarsi sull’aspetto ecologico e sociale della questione, ogni giorno lavorativo in Germania si copre 21 volte l’equivalente di un giro della Terra attorno all’equatore, con un consumo di carburante pari a 70 milioni di litri di benzina che, a loro volta, si tramutano in 156 milioni di tonnellate di CO2.

Cifre approssimative ma comunque da arginare, come credono a Monaco e Berlino, nelle cui cinture vivono rispettivamente circa 500mila pendolari, tutti nel raggio di 25-30 km dal luogo di lavoro (dati Green City e.V.).

Per rendere però reale il passaggio dall’auto o dalla moto all’e-bike c’è bisogno di un inquadramento legislativo differente, che dia alla bici elettrica più margine d’azione senza metterla sul piano di uno scooter. Questa la visione di Stromer, che probabilmente rispecchia una tendenza lontana dall’Italia ma comune ad una buona parte di Europa.

 

Sarà questa parte ad avere ragione degli attuali vincoli all’affermazione dell’e-bike come vera alternativa agli altri mezzi a motore non elettrico?