Fino a oggi il codice della strada non prevede l’uso del casco per i ciclisti, neppure l’obbligo di un’assicurazione che protegga nel caso di infortuni su se stessi e sugli altri.

Ognuno di noi sa però, in coscienza, quanto sia importante avere a disposizione una protezione personale che possa intervenire in caso di evento accidentale.

Non c’è l’obbligatorietà, è vero, ma già oggi molti tra coloro che usano la bici in città calzano abitualmente il caschetto protettivo. Infatti, sono consapevoli di quanto possa contribuire a salvare la vita, anche nel caso di una banalissima caduta.

A conferma di questo punto va detto che in molti stati europei il casco è già previsto come presidio obbligatorio dal codice della strada, almeno per i ragazzi fino ai quattordici anni. Qui in Italia no! La stessa cosa vale anche per una copertura assicurativa che possa proteggere in caso di infortuni e che copra le spese mediche o eventuali periodi di convalescenza.

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Riflessioni sul casco, questo sconosciuto…

E’ risaputo che il caschetto protettivo correttamente indossato – sia in gara (dove, per fortuna, è obbligatorio) sia in allenamento (dove, purtroppo obbligatorio non lo è ma dovrebbe esserlo) – possa salvare la vita di un ciclista. Sono ancora troppi coloro che non ne fanno uso o, con eccessiva leggerezza, lo appoggiano con il cinghietto sulla piega manubrio della bici, specialmente in salita o in pianura; come dire che, tranne in discesa, in bici non si possa cadere e nemmeno battere la testa.

A cosa serve? Mah, bisognerebbe chiederglielo. Forse a proteggere il comuputerino o forse il casco è solo un optional ingombrante?

Sta di fatto che un accessorio per la sicurezza stradale se danneggiato lo si ripara o lo si sostituisce, il cranio no, quello si rompe, sanguina, fa male e le conseguenze che derivano da un forte impatto col terreno – com’è capitato a molti ciclisti – sono la maggior parte delle volte gravi o tristemente letali.

Il bello di pedalare in sicurezza

Nelle mie uscite in bicicletta noto ancora molti ciclisti (spesso anziani o non più giovanissimi…) privi di casco che pedalano in tutta tranquillità in mezzo al traffico di pendolari domenicali a bordo di auto, moto e camper; non sono in gara ma è come se lo fossero. E la scusa del caldo o del peso oggi, con i nuovi materiali utilizzati per la loro costruzione, non esiste. Le aziende produttrici mettono in commercio caschi da bici leggeri, comodi, sicuri e soprattutto omologati con le più severe certificazioni che il mercato richiede.

Quindi niente giustificazioni, il casco lo si usa e basta, non ci sono deroghe o favoritismi che tengano.

Anche il mondo dei pro dovrebbe veicolare questo messaggio perché, se l’esempio deve venire dall’alto, bisogna cominciare da loro che per molti giovani rappresentano gli idoli da emulare.

Poi una bella ritoccatina al codice della strada sarebbe anche opportuna.

Solo così potremmo adeguarci a popoli ciclisticamente più evoluti e a limitare il numero di vittime che – troppo sovente – andiamo a piangere sulle nostre strade.

E allora cosa fare?

Sarebbe opportuno fare una corretta informazione di come e perché lo si usa. Cominciare dalle scuole, magari con la testimonianza della polizia municipale e delle forze dell’ordine.

Infine, le aziende produttrici stesse hanno l’obbligo di incentivare e stimolare i ciclisti ancora scettici o restii; far capire loro l’importanza di indossare sempre il casco anche solo per una gita fuori porta con amici. Pochi semplici gesti e una volta calzato il caschetto sulla testa, un’aggiustatina al cinturino e una alla chiusura micrometrica, vedrete che pedalare in sicurezza diventerà sicuramente più bello per tutti.