Il ciclista è una persona abituata alle difficoltà e alle sfide: oggi è, insieme a tutti quanti, chiamata ad affrontarne una molto difficile; non contro la strada, non contro un avversario, forse neanche contro un virus ma principalmente contro se stessa.

L’isolamento come protezione psicologica

La pandemia di Coronavirus richiede che si rimanga separati gli uni dagli altri attraverso un periodo di isolamento. Si tratta di una situazione a cui la maggior parte delle persone non è preparata psicologicamente, ma a ben vedere è molto più innaturale proseguire la  vita di sempre in chiave anti-contagio. E’ innaturale andare in giro scansando le persone, evitare il loro contatto, temere che chi si avvicina troppo possa infettarci. Se il rischio fisico è in effetti molto serio, non dobbiamo trascurare l’impatto che questi comportamenti hanno sulla nostra psiche. L’isolamento permette di non dover attuare queste pratiche di protezione tra persone. Stando a casa non solo conteniamo la diffusione del virus ma evitiamo anche le ripercussioni psicologiche dei bizzarri comportamenti che saremmo costretti ad attuare se fossimo a spasso. L’isolamento va preso però nel verso giusto, se è il caso anche come una sfida, qualcosa che soprattutto un ciclista dovrebbe conoscere bene.

via ilariacusano.it

Astronauti e biosfere

Le persone forse più abituate a questa particolare situazione sono sicuramente gli astronauti. Durante le loro giornate in orbita passano almeno un paio d’ore ad allenarsi: una di queste ore è dedicata all’attività cardiovascolare, svolta di solito attraverso una cyclette appositamente creata. A gravità zero il corpo rimane a riposo completo, potremmo dire in ogni sua cellula, e ciò può diventare un problema serio. Inoltre non essendoci aria fresca irraggiamento solare possono insorgere problemi relativi all’assimilazione di Vit. D e all’insorgenza dell’osteoporosi che vengono contrastati con integratori e appunto attività fisica.

via esa.int

Altri casi famosi di isolamento sono le cosiddette biosfere. Il più celebre esperimento è quello condotto da Roy Waldorf e i Biospherians che nel 1991 decisero di chiudersi per ben due anni dentro una sorta di ecosistema di vetro chiamato Biosfera 2, allo scopo di studiare la capacità di resistenza umana. Se nei nostri 15 giorni di isolamento dovremmo essere presi dallo sconforto pensiamo a loro. La capacità di resistenza è un fattore importante che non è vincolato all’attività in sé, ma all’attitudine mentale con cui si compie.

Roy Walford e i Biospherians: via nypost.com

Imparare ad annoiarsi

La società dell’intrattenimento e dei consumi in cui viviamo ha creato un modello di vita basato sull’occupazione continua, approfittando della naturale tendenza umana ad abbandonarsi e indulgere verso ciò che gli procura distrazione. Questo modello è semplicemente irrealistico e a lungo termine non può che portare a incontentabilità e nevrosi. Imparare ad annoiarsi, a limitare la ricerca di un flusso continuo di occupazione, mentale ed emotivo, è importante per l’equilibrio interiore. Lo aveva capito molto bene Bertrand Russell, lucidissimo filosofo del secolo scorso. In Elogio all’ozio, il pensatore gallese si spinge ad affermare che se “dopo aver letto queste pagine, l’YMCA (vecchia organizzazione pedagogica inglese, ndr) si proponesse di insegnare ai giovani a non fare nulla, non sarei vissuto invano”. Il libro è in realtà una critica al mondo del lavoro dove viene spiegato come anche l’ozio sia necessario in una società in cui si insegna l’abnegazione lavorativa, e come sia imprescindibile imparare ad avere una corretta relazione con noia e monotonia.

Bertrand Russell, via disf.org

Esplosioni di ira e altre manifestazioni di rabbia spesso sono dovute alla mancanza di uno stato di attivazione a cui siamo abituati e di cui difficilmente riusciamo a fare meno. Tirarsi fuori da questo meccanismo è certamente una bella (e sana) sfida.

Un sacrificio utile.. per noi e per gli altri

Altri scrittori e intellettuali richiamano spesso l’importanza della sfida intesa come sacrificio. Il problema è che la noia è ancora vista come uno stato improduttivo e da evitare. Invece di fare una certa attività scegliamo di farne un altra, magari più virtuosa, quando invece il reale sforzo sarebbe quello di non fare nessuna delle due. E’ proprio dalla noia che emergono le idee, la vera curiosità, un personale interesse che riempie la noia stessa e che non ha a che fare con stimoli indotti  dall’esterno. Lo sportivo è chiamato a resistere ad un impulso fisico con cui aveva “allenato” il suo corpo, anche a livello chimico. Un ciclista poi, abituato agli spazi aperti, alla strada, ai sentieri, ai profumi e i panorami può sentire particolarmente questa mancanza. E’ necessario più che mai attingere a risorse profonde all’interno di noi stessi, capire che quella sensazione di vuoto che stiamo provando è soltanto passeggera ed in ogni caso è parte dell’esistenza stessa ed è più sensato accoglierla piuttosto che respingerla.

via migliorprodotto.net

Non spaventiamoci dunque davanti a giornate chiusi in casa che ci sembrano eterne. Mettiamoci bene in testa che la partita si gioca tutta sul piano psicologico e che implica un drastico cambiamento del nostro modo di vivere che non sarà facile accettare. E’ una sfida che la nostra società ha sempre evitato e che prima o poi avrebbe dovuto affrontare. L’importante è comprendere che l’ostacolo non è il virus bensì la difficoltà a modificare alcune nostre abitudini.

Ma noi, a differenza del virus, possiamo scegliere e possiamo cambiare. Dobbiamo cambiare.

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