Tullio Pelliccioli, meccanico dell'Orica-GreenEdge
Tullio Pelliccioli, meccanico dell’Orica-GreenEdge

Di musica e di tecnica. Parlare con Tullio Pelliccioli, classe 1967 da Verdellino (Bergamo) è come viaggiare dentro e fuori la bici ascoltandone la musica. Il ciclismo è la sua vita e una tradizione di famiglia. Suo nonno, Pietro Regonesi, è stato un corridore – all’attivo anche un Giro d’Italia – ma soprattutto chi gli ha aperto il mondo della bici e della meccanica. Nella sua bottega, Tullio ci passava i pomeriggi insieme al fratello Oscar. «Lui in bici era molto più grintoso – racconta Tullio – e di strada ne ha fatta tanta, arrivando a correre tra i professionisti e oggi guidando il Team Colombia». Tullio ci ha provato, ma il sogno è rimasto nel cassetto. «Ho corso in tante squadre – dice – e più volte il passaggio al professionismo sembrava vicino, ma poi è mancata sempre quella vittoria in più». La sua carriera finisce nel 1994 a 27 anni e i lavoretti che trovava da dilettante, compreso riparare macchine da scrivere, non bastano più. «Gianluigi Stanga, allora manager del Team Polti, mi ha proposto di entrare in squadra come meccanico. Supero il periodo di prova e via». Dal ‘95 al 2010 tante squadre, tanti chilometri e troppi giorni fuori casa. «Mia moglie Emanuela e le figlie Serena e Arianna mi reclamavano e allora mi sono fermato». La Fsa gli propone un lavoro e lui accetta, ma a casa ci sta sempre molto poco. «Ho fatto due conti – spiega Tullio – e ho scoperto che era meglio tornare alle corse». «Tra le proposte che ho ricevuto, ho scelto l’Orica-GreenEdge, team australiano ma con tanta Italia». Il suo lavoro è cambiato molto e quasi sempre in meglio; oggi ci sono più materiali e soluzioni e basta guardare dentro un camion officina per rendersene conto («ci sono il triplo di modelli di ruote, solo per dirne una»). Nella sua carriera ha visto il “mezzo” cambiare di molto. «Sono favorevole al cambiamento – dice – ma solo se serve realmente». Del cambio elettronico, per esempio, dice che la nuova generazione continua ad avere problemi con le batterie e se succede qualcosa in corsa “sei spacciato”. Di contro, per uno a cui piace la “musica” della bici, la cambiata è adesso più scorrevole e silenziosa. Anche il nuovo design che ha imposto la scomparsa di fili e guaine ha il rovescio della medaglia: «Esteticamente non si discute, ma per fare un intervento rischi di smontare tutto e a volte passando tra le pieghe del telaio i fili finiscono per non scorrere al meglio». Anche il gruppo non sfugge a certe critiche: «si parla delle 12 velocità e mi chiedo a cosa serva, di sicuro si avrebbe una ruota posteriore meno rigida. Ho delle perplessità anche su quello a 11, per me il 10 è quello che funzionava meglio». Il freno a disco (di cui l’Uci inizierà presto la sperimentazione, nda) per Tullio rappresenta il top come pista frenante che garantisce una frenata precisa anche sul bagnato, ma a livello agonistico porrebbe grossi problemi: «quanto tempo perderei a centrare e regolare ruota e freno. Penso alla “Sanremo” e mi dico capita sul Poggio e la gara è andata…». Pollice verso anche per l’ammortizzatore posteriore («non mi sembra abbia dato grandi risultati») mentre sulla questione peso dice sì alla leggerezza, ma sempre tenendo ben presente la sicurezza. Gran finale con la ceramica, entrata con forza nel mondo delle due ruote. «La usiamo molto per movimenti, mi piace è leggera, gira bene con meno attrito. Ma non tutti la pensano come me e alcuni studi dicono che il grande vantaggio si avrebbe con un alto numero di giri, cosa che il ciclista non fa». (Testo raccolto da Geoffrey Pizzorni)