L’ultima volta che ho seguito dei Mondiali per la Federazione ciclistica era un altro secolo, addirittura un altro millennio. Correva il 1999, a Berlino. Non avevo ancora figli ma in attesa del primo. Per chi ne ha tre (ma anche uno solo basta), vuol dire che stiamo parlando addirittura di un’altra era geologica.
Ci sono voluti 14 anni per tornare sulla strada. Non solo per merito o colpa del sottoscritto, ma dei casi della vita che mai pensavo mi avrebbero riportato al punto di partenza, o di arrivo, per molti che fanno il mio mestiere.
A parte le pacche sulle spalle (e in alcuni casi gli abbracci), il mondo appare più piccolo e tutto a portata di mano. Non c’era internet e se c’era non era utilizzata come oggi, amplificatore mediatico per eccellenza di piccolo-grandi eventi. Non c’era, soprattutto, la consapevolezza che la bicicletta e il ciclismo sono un buon modo per cambiare il mondo. Almeno in Italia.
In questo quadro generale calano in Italia i Mondiali di Toscana 2013, a Firenze, città improvvisamente ricollocata al centro del mondo (sportivo), come accadeva al tempo del Rinascimento.
Veniamo alle gare. La prima la vince, ieri, Specialized. Un marchio, un gruppo, un’icona della bicicletta. È forse mortificante non parlare dalle atlete che hanno condotto la Specialized Lululemon al successo: Lisa Brennauer, Katie Colclough, Carmen Small, Evelyn Stevens, Eleonora Van Dijk e Trixi Worrack. Ma questo è pur sempre un sito che parla del “prodotto”, per chi il prodotto lo vende. Per cui benvenuta (o forse meglio tornata) Specialized, la bici delle due volte campionesse del mondo di crono a squadre che per un vezzo legato alla nazionalità della squadra sfoggiavano degli stupendi stivali scarpa-gambaletto rossi, dello stesso punto di colore della bandiera USA. La vera novità della stagione?
AU

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