Non “persone in bicicletta”, ma appartenenti ad una categoria “altra”, diversa e a volte inferiore. Se già nell’educazione stradale acquisita da molte generazioni di automobilisti manca un radicato senso del rispetto nei confronti della bicicletta, come del pedone, possono scattare anche sottili meccanismo psicologici che non t’aspetti, come l’inconscia “de-umanizzazione” di una categoria di utenti cui non apparteniamo.

Uno studio pilota della Monash University (Victoria, Australia) sostiene proprio questa tesi: quando si è al volante molti, in troppi (circa la metà dei casi) non vedono più i ciclisti come esseri umani loro pari, bensì come fastidiosi rivali o, peggio, come ostacoli. Un fastidio che può arrivare ad assumere idee e comportamenti discriminatori e pericolosi.

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Ciclisti come insetti

Suonano senz’altro come paragoni forti, ma quanto «Dehumanization of cyclists predicts self-reported aggressive behavior toward them: a pilot study» afferma è proprio questo: una parte consistente del campione esaminato ammette, quando è al volante, di vedere nei ciclisti “qualcosa, più che “qualcuno”.

Senza girarci troppo intorno, alcuni automobilisti arrivano a classificarli come “sub-umani”, ricorrendo persino a termini come “zanzara” o “scarafaggio” per esprimere il proprio aggressivo disprezzo.

Ma come si arriva a vedere in un altro utente della stessa strada, ciclista o pedone che sia, un fastidioso “nemico” da schiacciare?

La risposta, secondo la coordinatrice dello studio, Alexa Delbosc, risiede in una serie di meccanismi psicologici e sociali che intervengono nel rapporto tra un gruppo maggioritario, quello degli automobilisti, ed uno minoritario, quello dei ciclisti.

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Un problema di percezione

La ricerca della Monash University non è da prendere come uno studio di stampo lombrosiano sull’aggressività latente espressa tramite l’automobile. Essa tende ad evidenziare una dinamica sociale che interessa solo alcuni individui, quindi senza generalizzare all’intera comunità dei guidatori.

Si tratta di meccanismi verificati anche in contesti diversi, quelli per cui l’appartenenza ad un gruppo maggioritario di persone scateni in taluni individui la tentazione di prevaricare chi fa parte di altri gruppi, specie se più piccoli.

Nel caso dei ciclisti, si somma a ciò un fenomeno che, nella mente di alcuni, porta a de-umanizzare chi è distante da noi per usi e costumi; e non occorre andare tanto lontano per identificare un “diverso” del quale non capire le esigenze: è sufficiente il vicino di casa, basta che vada in bicicletta al lavoro invece che in macchina.

La de-umanizzazione avviene per una sovrapposizione della categoria, una sorta di astrazione del termine “ciclisti”, dell’etichetta, sulle persone che la compongono.

Ecco così che i soggetti più aggressivi ammettono di avere pensieri e comportamenti al limite del civile, in quanto non vedono nel ciclista che incontrano un loro pari, bensì un fastidioso impiccio.

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Alcuni numeri della ricerca

Per tradurre le supposizioni in numeri, lo studio della Monash University riporta alcuni dati relativi ai comportamenti ammessi dal campione di non ciclisti, prevalentemente guidatori, intervistato.

Il 17% degli automobilisti ha indicato di aver utilizzato il proprio veicolo per bloccare deliberatamente la strada ad un ciclista, l’11% di avergli consapevolmente guidato molto vicino, ignorando apposta le distanze di sicurezza, e il 9% ha affermato di aver almeno una volta tagliato la strada di proposito ad un biker.

Comportamenti evidentemente pericolosi che non corrispondono all’abitudine dei più, ma che sono presenti in percentuali non trascurabili. 

Certo, lo studio darebbe esiti diversi se effettuato in varie realtà – sarebbe interessante vedere quale percezione hanno i guidatori olandesi o danesi dei loro concittadini ciclisti, dato il rapporto quasi invertito tra bici e veicoli in città – ma mette comunque in luce un punto chiave valido dappertutto.

Come dice una delle coautrici dello studio, Narelle Haworth, ciò che conta è non spersonalizzare una categoria di individui dietro ad una etichetta. Paradossalmente, di fronte ad un fenomeno in espansione come quello del ciclismo urbano, è più positivo parlare di “persone che vanno in bicicletta” o “a piedi” invece che di “ciclisti” e “pedoni.

L’accettazione pubblica di chi usa la bici come utente legittimo della strada passa anche attraverso un po’ di psicologia.