In giorni difficili in cui la paura fa da padrona, contrastarla con l’attività fisica è la miglior arma a nostra disposizione per non piegarci alle ansie e al bombardamento mediatico.

La Dott.ssa Emanulea Giordani del Running Center di Torino

Dott.ssa Emanuela Giordani

Per fare chiarezza e, soprattutto, divulgare informazioni corrette sulla pratica delle attività sportive dopo la diffusione del Coronavirus COVID-19, ci siamo avvalsi della consulenza della Dott.ssa Emanuela Giordani. Laurea in Fisioterapia all’Università di Bologna, una serie infinita di master e aggiornamenti in campo medico, agonistico e militare, anche in zone di guerra. Ideatrice e CEO di Running Clinic di Torino, una moderna struttura che ottimizza i molteplici aspetti della salute degli sportivi, Emanuela ha voluto rilasciarci la sua autorevole ed attendibile testimonianza su quest’epidemia che sta infestando i nostri pensieri, prima ancora che le nostre vite.

“Innanzitutto va detto che che la malattia per diffondersi ha bisogno di una cosa definita terreno”. Così esordisce Emanuela. “Nelle medicine tradizionali, ma ora anche nella psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI) il terreno è dato dal livello di infiammazione generale, ovvero il cosiddetto stress ossidativo. Ad aumentarlo sono le diete ricche di zuccheri, farine troppo raffinate, eccesso di carni rosse, stress psicologico, mancanza di recupero e riposo dell’organismo. Dunque, il cosiddetto terreno ci rende più o meno vulnerabili nell’ammalarci a secondo della nostra condizione psicofisica”. 

Questo virus, come tutti i virus, ama la vicinanza sociale

“Poiché la diffusione è per via aerea, più si sta vicino alle persone in ambienti chiusi e più la carica virale aumenta facilitando il contagio. Esistono varie forme di Coronavirus. I Coronavirus sono responsabili di tutti i raffreddori e le influenze che noi umani prendiamo regolarmente ogni anno. Questo, nella fattispecie, è passato dell’animale alla persona ed è in grado di arrivare fino ai polmoni; cosa che gli altri Coronavirus non fanno e quindi lo rende più pericoloso. La sintomatologia nelle persone sane o negli sportivi è fastidiosa come una normale influenza. Purtroppo, però, può diventare letale nelle persone anziane oltre gli 80 anni o in soggetti particolarmente debilitati da altre patologie”. 

Gli ambienti più a rischio nello sport

La griglia di partenza di una gara MTB. In questo caso, essendo uno sport tipicamente outdoor, il rischio di contagio ed infezione – sia per gli atleti che per il pubblico – è ridotto al minimo rispetto ad un ambiente chiuso. Per esempio una palestra, una piscina o un palazzetto.

“Sono quelli dove si praticano gli sport di contatto. Per esempio, due giocatori di pallacanestro sudati che si contendono una palla sono indubbiamente più vicini di due atleti all’aria aperta che corrono, mantenendo una distanza sociale intorno al metro e mezzo. Addirittura nel cilcismo o nella corsa il rischio non sussiste, nemmeno nel momento in cui il virus viene espulso tossendo o starnutendo nell’aria. Negli spazi aperti o si è a brevissima distanza oppure, la diluizione nell’ambiente è talmente veloce, che non permette una sufficiente gradocarica virale per poter infettare le persone vicine. Bloccare le corse in bici e le maratone sembra, a nostro parere, un eccesso di prudenza. E’ vero che non conosciamo la mutabilità di questo virus. Però, quello che abbiamo potuto constatare, è che non sembra prendere forza. Anzi, pare perderla rispetto i primi casi e rispetto alla primo serbatoio di diffusione. Indubbiamente va contenuto nei paesi dove è molto alto e virulento. Attualmente la Corea ha più problemi di quanti non ne abbia avuto la Cina dove, al momento, c’è un’inversione di tendenza fra persone ammalate e persone guarite (che sono in crescita); ciò significa che lentamente il focolaio si va spegnendo”.

La maggior parte delle persone si infetta ma non si ammala

“Con delle piccole norme di buon senso e d’igiene tutto questo potrebbe cessare tranquillamente di esistere. Teniamo presente che infettarsi e ammalarsi sono due cose diverse. Infettarsi vuol dire essere venuti in contatto con l’agente; ammalarsi vuol dire che abbiamo sviluppato la reazione a questo agente e quindi abbiamo sintomi come febbre, raffreddore, tosse, difficoltà respiratoria e tutto quello che ne consegue”.

Chi ha il virus ma non i sintomi

“Questa tipologia di persona ha una capacità di infettare molto ridotta, soprattutto in un ambiente all’aria aperta. Dove, invece, si pratica dello sport outdoor (ciclismo, corsa, calcio, atletica, camminata in montagna, nuoto in acque libere, ecc…) è abbastanza difficile che vi sia trasmissione di virus. Sarebbe più facile ammalarsi sulla metropolitana o sul tram stando pigiati fianco a fianco, ma non in un contesto spazioso, sano, dinamico ed attivo”. 

In conclusione

Vincenzo Nibali, con la maglia della Bahrain Merida 2019, vittorioso sul traguardo. Un atleta di questo livello ha un sistema immunitario molto forte, temprato a sforzi di grande intensità e quindi scarsamente attaccabile dai virus – PH Credit Bettiniphoto

“Noi del team Running Clinic – avendo una formazione scientifica e tecnica idonea per esaminare tutti i dati – siamo giunti alla conclusione che, in ambito sportivo, vi è un eccesso di allarmismo. Il popolo degli atleti è composto da soggetti sani, performanti, con difese immunitarie molto alte rispetto alla media e con terreno poco favorevole alla propagazione del virus. La disciplina e il rigore sono habitus psicologici con cui chi fa sport abitualmente convive; un modus vivendi che fa parte della propria quotidianità. Il livello del controllo emotivo, il sacrificio, la sofferenza sono per uno sportivo il miglior modo per difendersi da ogni attacco al sistema immunitario, neurovegetativo e dismetabolico. Non abbiamo dubbi a sostenere che l’incidenza del Coronavirus in ambito sportivo, sia professionistico che amatoriale, abbia avuto un impatto più lieve rispetto a quello della popolazione comune, poco attiva o sedentaria. Come dicevano gli antichi latini: mens sana in corpore sano. Tradotto ai giorni nostri, se si vuole avere una mente sana è necessario curare anche il corpo. E’ per questo motivo che il mondo dello sport e degli atleti ha spesso fatto proprio questo storico proverbio”.

Un particolare ringraziamento per l’interessante intervista alla Dott.ssa Emanuela Giordani di Running Clinic e, per la gentile collaborazione, alla Dott.ssa Nicole Vitali di NVC Consultant Europe (Ufficio stampa).

10 COMMENTI

  1. Tutto bello bello ma non é una biologa! É una fisioterapista! Ma stiamo scherzando??? ???

    • Sono Roberto Zanetti di BiciTech, autore dell’articolo.
      Vero che la dottoressa Emanuela Giordani è una fisioterapista ma, prima di rilasciarci le sue dichiarazioni, ha raccolto l’autorevole testimonianza di un medico infettivologo di un importante ospedale italiano. Per segreto professionale, attenendosi alle leggi sulla privicy e alle attuali normative ministeriali in fatto di riservatezza sul grave problema del Coronavirus e non avendo avuto il nullaosta dall’ASL di competenza, il medico deve restare anonimo.

  2. Personalmente non sono un esperto ma ho letto parecchio ultimamente e ho la netta impressione che il suo articolo sottovaluti gravemente la questione. Ultimamente anche corridori professionisti sono risultati contagiati. Migliaia di persone ammassate insieme come in una gran fondo o una maratona, pensando anche ai ristori al ritiro pacchi gara e altro mi sembra sinceramente un insulto al buon senso. Deve tenere presente che poi il suo articolo rimbalza sui social( a me è arrivato via whatsapp) e diffonde in altre persone la sottovalutazione del problema. Sicuramente andare in bici e fare sport non fa male ma vista la situazione meglio un bel giretto da soli. No?

    • Buongiorno Luca, sono Roberto Zanetti.
      Concordo con ciò che dice, soprattutto nella parte finale del suo intervento dove scrive:”Sicuramente andare in bici e fare sport non fa male ma vista la situazione meglio un bel giretto da soli”. E’ quello che io sto facendo! Sottovalutare il problema no, assolutamente, sono in linea col suo pensiero e con quello degli esperti. Io non sono un medico, mi guardo bene da decretare sentenze pressapochiste su un argomento così delicato. Però sono da sempre uno sportivo, pedalo tutti i giorni per lavoro, per passione e per il semplice piacere di farlo. Come avrà visto dalle recenti disposizioni a livello nazionale tutte le manifestazioni sportive sono state sospese o si svolgeranno “a porte chuse”. Quando ho raccolto le dichiarazioni dei medici (giovedì 27 febbraio – N.D.R.) ancora non era stata presa alcuna decisione in merito. Quindi, in un certo senso, il contatto umano sarà inevitabilmente ridotto al minimo, almeno finché non si risolverà questa surreale situazione. Come dice lei saranno scongiurati ed evitati assembramenti alla consegna dei pacchi gara, ai ristori, alle griglie di partenza, al traguardo, ai pasta party. Nulla di tutto questo con la speranza che al più presto si possa tornare alla normalità. Lei non s’immagina quante lamentele ho sentito (telefoniche e via e-mail) da parte di una “frangia estremista” di amatori agonisti che avrebbero voluto correre e gareggiare a tutti costi. Come vede è sempre di moda il detto che “il mondo è bello perché è variato” e proprio per questo vale la pena, secondo me, vivere la vita nel migliore dei modi. facendo del sano sport all’aria aperta ancora meglio, tanta salute guadagnata. Un’ultima cosa a proposito dei corridori professionisti contagiati o, per meglio dire, infettati. Se ha letto attentamente il mio articolo “la maggior parte delle persone si infetta ma non si ammala”. Per l’appunto infettarsi vuol dire essere venuti in contatto con l’agente; ammalarsi vuol dire che abbiamo sviluppato la reazione a questo agente, il che significa avere tutti quei disturbi tipici di un sintomo influenzale o di una più o meno grave indisposizione. I pro che sono stati trovati positivi al tampone sono infetti ma non malati ed è logico che si sia agito di conseguenza utilizzando le precauzioni mediche di rito imposte dall’UCI. Anche se giovani ed atleti non sono dei supereroi. Può capitare che, in un determinato momento della stagione, le barriere immunitarie siano più vulnerabili. Oppure che, accidentalmente, siano venuti a contatto con altre persone infette. Siamo tutti a rischio, nessuno escluso. Però non dobbiamo avere paura, dobbiamo continuare a vivere e, possibilmente, a pedalare come faccio io e come farà di sicuro anche lei. Un caro saluto e grazie per il suo commento. Roberto.

  3. E bene si.. Uno sport sano vale più di 2021 parole..
    L’equilibrio Psico fisico che un Atleta a qualsiasi età può ritrovare
    Svolgendo attività ” libera”.
    E poi per stroncare il Virus al contagio… due cucchiai di buon Alcol per sciaccuarsi la Bocca ( tipo Grappa ; wisky ; Cognac ;ecc.) eee. Vaiiii…..!

    • Sono Roberto Zanetti, ciao Danilo.
      Le soluzioni per prevenire il contagio le hai già trovate tu. ottime proposte.
      Approvo in pieno la tua teoria; non resta altro che mettere in pratica ciò che dici e cercare di vivere nel miglior modo possibile.
      Un saluto e buone pedalate, buona corsa, buona camminata o buona nuotata; scegli tu!
      Roberto

  4. Di virus devono parlare i virologi non i fisioterapisti, la signora ignora o non si ricorda che il paziente 1 di Codogno ha infettato persone proprio ad una gara podistica.
    In questo momento è meglio che ognuno faccia il proprio lavoro e non parli da esperto su argomenti che non conosce.

    • Sono Roberto Zanetti, buonasera.
      L’ho già detto ad altri lettori che hanno fatto la medesima considerazione quindi, per velocizzare la risposta, copio ed incollo,
      “Vero che la dottoressa Emanuela Giordani è una fisioterapista ma, prima di rilasciarci le sue dichiarazioni, ha raccolto l’autorevole testimonianza di un medico infettivologo di un importante ospedale italiano. Per segreto professionale, attenendosi alle leggi sulla privacy e alle attuali normative ministeriali in fatto di riservatezza sul grave problema del Coronavirus e non avendo avuto il nullaosta dall’ASL di competenza, il medico deve restare anonimo”.
      Inoltre visto che lei parla “che ogni uno faccia il proprio lavoro” (non so quale sia il suo) le ricordo che fonti giornalistiche citano testuali parole: “Il paziente uno era già stato contagiato al momento della gara (anche se non presentava sintomi) avendo avuto rapporti professionali riconducibili alla Cina. La moglie incinta all’ottavo mese, anche lei sottoposta ai test (risultando positiva al Coronavirus ma senza alcun sintomo), ha testimoniato che il marito era stato ad una cena di lavoro con un collega (risultato negativo) rientrato dalla Cina. E non come lei afferma “ad una gara podistica”.
      A parte questa dovuta precisazione credo non sia il momento di fare inutili polemiche. Bisogna usare tutti il buon senso, applicando le regole che sono state imposte per uscire da questa surreale situazione in cui ci siamo involontariamente venuti a trovare.
      Cordialmente, Roberto.

  5. Peccato che la dottoressa nn sappia che facendo sforzi si abbassano le difese immunitarie e quindi si è più a rischio.

    • Buonasera Giovanni.
      Ho immediatamente inoltrato il suo messaggio a un noto medico sportivo di un team UCI World Tour (per la privacy e la delicatezza del momento non posso fare il nome). Questa la sua risposta in merito:
      “Praticare sport in modo regolare e costante abbassa il rischio di contrarre virus respiratori e aumenta le difese immunitarie del corpo.
      Bisogna ricordare di non improvvisarsi atleti, perché con sbalzi improvvisi si vanno a creare situazioni di forte stress per l’organismo. Meglio programmare, pianificare, anche in funzione degli obiettivi sul lungo e sul medio periodo. Va ricordato che, quando eccessivo o inadeguato, lo sport daneggia il sistema immunitario nel senso che genera un’elevata reazione da stress immunitario, che va gestita anche in base alle modificaizoni linfocitarie prodotte”.
      Per qualsiasi altro chiarimento siamo qui.
      Cordialmente, Roberto.

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