Siamo ancora bloccati in casa ma si intravedono dei segnali positivi. Guai ad abbassare la guardia però cominciamo a pensare alla “fase 2″…

Televisioni, radio, web, social, ovunque ci si connetta la pandemia che sta colpendo il mondo intero tiene banco.

Oltre all’aggiornamento dei dati sul Coronavirus sempre in primo piano, una delle domande più frequenti che la gente si sta facendo – visto i timidi miglioramenti di queste ultime ore – è come si dovrà e potrà afforntare la cosiddetta “fase due”. Ovvero, una volta scaduta la probabile dead line del 3 maggio e terminato il fatidico lock down, quali saranno i passaggi da seguire per il graduale ritorno alla normalità? Questione di giorni, mesi o anni?

In quali termini potrà avvenire la ripresa dell’attività fisica outdoor e quali saranno le precauzioni da prendere?

A livello sportivo l’abbiamo chiesto ad un amico medico, fonte autorevole e veritiera, impegnato ancora oggi alla lotta contro il Coronavirus. Ecco cosa ci dice in questa sua analisi Agostino Dossena, ex primario di Anestesia e Rianimazione all’ospedale di Crema (CR). Attualmente in pensione, “Ago” (per gli amici) è sempre stato un grande sportivo e lo è ancora adesso che ha più tempo per praticare; si  occupa di alimentazione, medicina complementare e ozonoterapia. Come tutti noi non vede l’ora di tornare in sella alle sue bici e alle sue moto per riprendere da dove eravamo rimasti… 

Pensando alla ripresa dell’attività fisica

“Quando siamo in un ambiente chiuso o nella stessa stanza con qualcun’altro, la ricerca ci mostra che il virus di una persona infetta potrebbe viaggiare fino a quasi due metri di distanza. Da qui le raccomandazioni sul distanziamento sociale, anche se da più parti si continua ad affermare che un metro potrebbe essere sufficiente”. Ma quando siamo all’aperto? Bastano due metri ad evitare il virus “spruzzato” nell’aria da escursionisti, corridori e ciclisti nel pieno della performance?“Un gruppo di ricercatori belgi ed olandesi hanno condotto una ricerca usando delle simulazioni di atleti in scia. Quando un corridore, ciclista o motociclista respira, starnutisce o tossisce, le particelle rimangono dietro creando una nuvola di goccioline, una specie di scia. Secondo questi ricercatori il livello di rischio potrebbe dipendere da dove ci troviamo rispetto all’altra persona che si allena o corre con noi. E’ stato riscontrato che il rischio è maggiore quando ci si trova direttamente dietro qualcuno, meno di fianco. In definitiva da questi test si evince che due metri potrebbero non essere sufficienti perché, nell’attività sportiva, si rischia di attraversare la scia di virus di chi ci precede prima che le goccioline cadano a terra. Sulla base delle loro stime, se camminassimo dietro qualcuno, dovremmo stare ad almeno quattro metri di distanza.Per la corsa a piedi e la bicicletta da passeggio sarebbe opportuno tenere una distanza di almeno nove metri, mentre per la bicicletta da corsa o la mountain bike almeno diciotto metri.Ovviamente questi risultati non sono definitivi e servono ulteriori verifiche. Tuttavia, fino a quando non avremo prove certe fondate su dati oggettivi, perché non tenerne conto? Ricordiamoci che – soprattutto in questo delicato momento che stiamo vivendo – la sicurezza e le precauzioni da prendere per la nostra salute e per la nostra vita non sono mai abbastanza”.

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