Che andando in bicicletta l’energia ce la si portasse da casa, in un certo senso, si è sempre saputo: anche adesso che la pedalata assistita si fa sempre più largo il concetto rimane valido, cambia solo la forma di energia sotto esame.

CycleHop è uno dei gestori di servizi di bike sharing più strutturato del Nord America, il primo ad aver ottenuto la licenza per operare negli Stati Uniti nel lontano 1999.

Vent’anni dopo l’imperativo è innovare: evolvere la mobilità in modo da renderla sempre più facile da usare, sostenibile, accessibile.

Dopo l’introduzione della pedalata assistita nei servizi di bike sharing, dopo la smaterializzazione dell’assistenza al corredo grazie alle infinite (o quasi) possibilità offerte dalle app, dopo aver fatto della geolocalizzazione delle bici disponibili un fatto ormai scontato, cosa si può ancora cambiare?

CycleHop ha appena presentato una e-bike, HOPR, concepita per il solo mercato della mobilità condivisa, con una caratteristica ben precisa: se la si vuole usare, l’energia bisogna portarsela da casa.

In parole povere, è la prima bici elettrica che proporrà all’interno di un bike sharing l’asportabilità della batteria.

Un assist a mariuoli e furbetti? CycleHop crede di no.

La batteria, delle dimensioni di uno smartphone extralarge e dal peso analogo, sarà infatti la “chiave di accesso” al servizio per gli utenti. All’atto dell’iscrizione si riceverà il dispositivo, che sarà a tutti gli effetti un valore aggiunto in comodato d’uso al ciclista: tramite quello potrà sbloccare le bici HOPR e sarà suo compito provvedere alla ricarica a casa, esattamente come con il telefonino.

Rendere la batteria una risorsa personale di energia per l’utente potrebbe essere una mossa geniale: responsabilizza il cliente – che, chiaramente, non può pensare di disfarsene liberamente per via di una probabile cauzione pecuniaria – e facilita l’applicazione di un bike sharing dockless.

Dal punto di vista degli operatori i costi maggiori sono sempre stati rappresentati da due aspetti: la logistica legata alle bici, ossia il loro recupero perché siano sempre disponibili e distribuite sul territorio, e, nel caso delle e-bike, l’infrastruttura di ricarica.

Eliminato il primo problema grazie alla formula “free floating” (quando non ne causa altri, vedi l’abbandono selvaggio in posti a dir poco improbabili, come il letto dei navigli milanesi), l’idea di rendere la batteria delle e-bike portatile e di proprietà dell’utente azzera il secondo.

Come ogni evoluzione, bisogna aspettare di vedere cosa l’utilizzo quotidiano farà emergere riguardo alla pensata di CycleHop: saremo invasi dalle e-bike HPR nel giro di qualche anno?