La Commissione Europea ha accolto la richiesta della EBMA, la European Bicycle Manufacturers Association, sulla necessità di chiarire se e quanto le aziende cinesi che importano bici elettriche sui nostri mercati sfruttino meccanismi di dumping.

Ultimo capitolo di una saga che ha visto esaminare le esportazioni cinesi dal settore siderurgico a quello delle tecnologie fotovoltaiche, l’avvio dell’investigazione da parte di Brussels ha provocato la reazione del governo di Beijing che, per bocca del suo ministro del commercio, ha chiarito che non solo seguirà con attenzione l’evoluzione degli eventi ma che è anche pronto a difendere gli interessi delle proprie aziende.

La Commissione Europea, dal canto suo, non può dimostrarsi insensibile alle richieste interne di un maggior protezionismo verso le proprie industrie, già sancite sostanzialmente dalle regole della World Trade Organization.

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L’EBMA e, a questo punto, la UE, sospettano che le industrie di Pechino si avvantaggino di sussidi statali che consentono loro di offrire sul mercato europeo prodotti, bici a pedalata assistita in questo caso, ad un prezzo a volte persino inferiore al costo di produzione.

Il risultato è uno sfalsamento del mercato che rischia di mettere le e-bike cinesi economiche in posizione di dominio assoluto, soffocando quelle aziende europee che, invece, hanno investito fior di capitali proprio per sviluppare le tecnologie sulle quali le bici elettriche si basano.

L’investimento fatto dall’industria di settore europea e del quale è auspicabile un rientro è pari a 1 miliardo di Euro, ragione sufficiente per non voler lasciare il pallino dei proventi del mercato del ciclo elettrico in mano alle bici asiatiche.

Il segretario generale della EBMA, Moreno Fioravanti, forte dei numeri sulla crescita delle e-bike cinesi vendute in Europa (430mila nel 2016, 800mila quelle attese per fine 2017 se sarà rispettato il trend di crescita dell’anno passato) agita lo spettro di un monopolio delle e-bike cinesi nel Vecchio Continente.

Chi avrà ragione?