Dopo la F1, tocca al ciclismo professionistico cambiare visione sulla figura femminile: specie in un settore che vive finalmente l’exploit dell’agonismo rosa, risultano infatti anacronistiche le classiche  “ragazze immagine” che accompagnano le premiazioni. Così, la ASO organizzatrice del Tour de France sta prendendo in seria considerazione l’abolizione delle hostess dai podi.

Niente più consegna delle maglie, niente più foto-ricordo con duplice bacio sulla guancia al vincitore: la paradossale cancellazione di una tradizione solo folkloristica o la naturale dismissione del retaggio di una cultura superata?

La domanda – la cui risposta dovrebbe, almeno a livello di logica, essere scontata – divide l’ambiente, sebbene i precedenti ormai non siano casi isolati.

Se la Formula 1, abolendo le “ombrelline” sulla griglia di partenza fa più facilmente parlare di sé, la prima corsa ciclistica a togliere la figura femminile dal ruolo stereotipato sino a quel momento assegnatole è stata la Tour Down Under, parte del World Tour: nella settimana di corsa al posto delle modelle si sono prodigati nella consegna dei premi dei corridori di categoria junior (un po’ come i “raccatta palle” del calcio).

L’anno scorso La Vuelta a Espana ha segnato il passo come prima nel novero dei Grand Tour a sostituire le “podium girls” con altrettanti uomini e donne, piacenti, sì, ma elegantemente vestiti – notare che la corsa spagnola è di proprietà della stessa ASO che controlla il Tour de France.

Alla Gent-Wevelgem, corsa femminile, si è invece assistito all’inversione dei ruoli, con modelli al posto delle colleghe.

Tour de France 2017 – Tappa 14 – Blagnac / Rodez – Michael Matthews (Team Sunweb) – Credit: ASO/Bruno Bade

Una grande Classica come il Giro delle Fiandre ha invece optato per rimuovere dal cerimoniale la consegna dei fiori ed il bacio ai vincitori, dando alla principale delle sue donne-immagine il ruolo più distaccato di maestra delle cerimonie.

La decisione del Tour de France, se sarà tale, appare dunque in linea con i tempi che corrono: d’altronde non è da chiamarsi in causa alcuna corrente femminista, si tratta semplicemente di affermare un principio di civiltà che non è ancora scontato.

I ciclisti sono eroi moderni, esempi per il grande pubblico ma non sempre prevale la

componente nobile e sportiva: basti pensare a Sagan che – in modo guascone, per carità – “mima” in diretta mondiale un palpeggiamento al fondoschiena di una delle ragazze durante la premiazione del Tour delle Fiandre o a Jan Bakelants che, l’anno scorso, è stato costretto alle scuse dopo aver fatto osservazioni sessiste sulle hostess in un’intervista.

Non sono state risparmiate neppure le organizzazioni che, come nel caso della Flanders Diamond Tour, sono state costrette a loro volta a fare ammenda per l’abuso di ragazze in bikini.

In questo quadro, il Giro d’Italia resta una dei pochi Grand Tour a non essersi espresso, se non con una dichiarazione di Mauro Vegni, direttore della gara, che ha commentato le decisioni delle altre organizzazioni definendole come una “moda passeggera” e difendendo quella che è solo una tradizione.