Pieno settore di pavé, 125 chilometri dal traguardo, una caduta come tante: e invece no, il 23enne belga Michael Goolaerts, che corre per la Vérrandas Willems-Crelan, si sarebbe accasciato per un arresto cardiaco.

Soccorso tempestivamente, è stato elitrasportato al Centre Hospitalier Régional Universitaire di Lille, il più vicino alle località di Viesly e Briastr tra le quali si correva la 28esima sezione su pavé della Parigi-Roubaix.

Così, mentre Sagan confezionava il suo trionfo in una delle classiche più ambite, l’episodio occorso al giovane corridore belga porta sotto ai riflettori ben altra questione.

Un fotogramma dei soccorsi al ciclista belga – Screenshot from Corriere TV

Se sia cioè normale che sempre più atleti ai massimi livelli – per di più giovanissimi – rimangano vittime di improvvisi malori: quello odierno può essere un episodio isolato, certo, ma, di episodio in episodio, si costruisce una casistica.

È vero che la medicina non possa prevedere tutto, è vero che nella vita l’imprevisto è sempre dietro l’angolo.

Può però passare inosservato che i ritmi imposti agli sportivi, ormai “professionisti” che poco hanno a che vedere con i principi decoubertiniani dello sport stesso, impongono uno stress perennemente al limite per quelli sono pur sempre esseri umani?

Malgrado l’accuratezza – fallace, la perfezione non è di questo mondo – dei controlli medici (per altro i migliori possibili, dati gli interessi in gioco) cui ciclisti, calciatori, nuotatori e via discorrendo sono sottoposti, non sono così impossibili i casi di malori o, addirittura, decessi improvvisi.

Paris-Roubaix 2018, Compiégne-Roubaix – © ASO/Pauline Ballet

Sono rari, per fortuna, e non si potrà dimostrare che siano riconducibili a statistiche significative, forse.

Eppure fanno sorgere una domanda: è ancora “sport, questo che in nome dei guadagni spinge gli atleti ad andare sempre e comunque oltre il limite, esattamente come i gladiatori a loro tempo erano spinti in bocca alle fiere?

In un’epoca nella quale pare che essere speciali e non avere limiti debba essere la normalità, forse, non guasterebbe fermarsi a riflettere ogni tanto o – sarebbe già una conquista – anche solo fermarsi.