Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, dopo immigrazione, clima e Corea del Nord, sta procedendo imperterrito con la sua agenda, che vede adesso il tema dazi all’ordine del giorno. Se le ultime notizie si focalizzano sull’Iran, il mondo industriale e commerciale della bici guarda alla Cina: l’imposizione di una tassazione al 25% sulle importazioni dal l’ex Celeste Impero impatterebbe violentemente anche su di essi, nel mucchio dei 200 miliardi di dollari di beni che annualmente gli USA acquistano da Beijing.

 

Dazi al 25% sull’import cinese negli USA, bici inclusa

Il giro d’affari smosso dalle importazioni cinesi negli Stati Uniti è dunque di ben 200 miliardi di dollari, una fanta-cifra che riporta alla memoria i triliardi di Paperon de’ Paperoni. Qui però di fantastico c’è ben poco e Trump lo sa benissimo: quello che resta da capire (e valutare) sono le conseguenze sui diversi mercati di questi possibili provvedimenti.

La tassazione in entrata negli USA di quanto proveniente dalla Cina dovrebbe arrivare al 25% e le categorie merceologiche interessate sono le più svariate: si va dalle attrezzature da baseball agli pneumatici per auto, dal cibo (per umani e per animali) ai prodotti chimici, dai mobili ai cosmetici, passando per l’acciaio e l’alluminio.

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photo credit: Gage Skidmore Donald Trump via photopin (license)

Parte di quell’enorme valore commerciale è costituito anche dai 10 milioni di biciclette che gli Americani acquistano ogni anno da Pechino e dalle sue aziende: al di là di quelle assemblate, nel mirino di Trump finiscono anche componenti – spesso poco visibili – che troviamo in quasi ogni parte di una bicicletta, tradizionale o elettrica che sia.

Insomma, è chiaro che il mercato interno statunitense dovrebbe, in caso di affermazione di tali dazi, fare i conti con problema pratico: mantenere competitiva la scena del ciclo a stelle e strisce – oggi gli States sono un mercato fortemente proiettato avanti – trovando il modo di non far lievitare i prezzi della filiera che vi sta alle spalle.

 

Conseguenze dei dazi: la rottura di un equilibrio

Le ripercussioni dei dazi annunciati da Trump sarebbero dunque notevoli, configurando uno scenario futuro di rapida sostituzione dei prodotti made in China con altrettanti made in USA. Il punto è se questo sia sempre possibile e sostenibile.

Una cosa è certa: quasi nessuno vorrà accollarsi il 25% sulle merci, tantomeno i consumatori finali che, con ogni probabilità, si vedrebbero presentare la percentuale sotto forma di rincaro.

Paradossalmente, quindi, ad avere problemi nell’immediato sarebbe proprio il mercato interno USA – oltre che quello cinese, già colpito dalle norme antidumping della UE: da Beijing hanno però fatto sapere di essere convinti della fallacia di tale provvedimento, che dimostrerà da subito i propri limiti.

 

 

In parole povere, come sostituiranno gli Americani quei 10 milioni di bici oggi importate a prezzi oltremodo competitivi? E come eviteranno di utilizzare tutta la miriade di componenti che proviene dalla Cina? La stessa domanda si può girare anche riguardo a materie prime o semilavorate, come acciai, leghe di alluminio e tubi per telai.

Esistono attori all’interno dei confini Statunitensi in grado di sostituirsi ai Cinesi senza appesantire il mercato di casa? Oppure le aziende americane si rivolgeranno ai terzisti europei? In tal caso, però, la competitività cinese – viziata dalle condizioni salariali, ben chiaro – sarà eguagliabile, economicamente parlando?

 

 

Quello dei dazi di Trump è, se non altro, un “esperimento” dai risvolti interessanti da seguire, in quanto cerca di riportare le lancette dell’orologio dell’economia mondiale indietro, sino a quel tempo nel quale i nostri mercati non erano “viziati” dall’afflusso di materie e prodotti a bassissimo costo dall’Oriente.

Si badi bene, “viziatisia in senso positivo che negativo, in quanto gli acquirenti che ne hanno giovato e, per paradosso, i lavoratori che ne hanno pagato le conseguenze eravamo sempre noi.

L’amministrazione Trump dovrebbe riparlare di dazi nei confronti della Cina dopo il 20 agosto: staremo a vedere.