È dalle pagine del Giornale Ufficiale della UE che si apprende la decisione di rendere esecutiva la tanto discussa proposta di applicare dazi anti-dumping provvisori sulle importazioni di bici ed e-bike provenienti da uno dei principali produttori mondiali, la Cina.

La comunicazione arriva a seguito di mesi di investigazioni e di botte e risposte tra la Commissione Europea, i rappresentanti industriali ed istituzionali di Beijing e le associazioni di settore europee, divise tra quanti hanno richiesto a gran voce l’inchiesta e quanti – le associazioni cui fanno capo gli importatori – che temono di venirne a loro volta danneggiati.

Cosa comportano i dazi che per i prossimi sei mesi riguarderanno le bici d’importazione?

 

Dazi anti-dumping provvisori: chi colpiscono e come

Dal 18 luglio sono entrati in vigore i tanto attesi ed invocati dazi anti-dumping provvisori nei confronti delle biciclette importate dalla Cina.

Sono “provvisori” in quanto, seguendo quella che è una procedura standard, la conferma in via definitiva delle suddette norme arriverà dopo un periodo di 6 mesi: il verdetto, insomma, lo avremo entro il 20 gennaio 2019.

Nel frattempo, dopo aver condotto investigazioni in seguito all’esposto presentato dalle associazioni di settore, la UE ha deciso di rigettare le argomentazioni di parte cinese e ha optato per procedere con l’applicazione di sanzioni provvisorie.

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photo credit: Leandro’s World Tour Edifício Berlaymont via photopin (license)

Tutte le biciclette importate dalla Cina e registrate a partire dalla data del 3 maggio scorso saranno dunque soggette ai dazi anti-dumping, consistenti in un deposito equivalente al valore della tassa stessa: nel momento in cui dovesse essere confermata permanentemente la misura, tale deposito sarà a sua volta trattenuto.

È la Commissione Europea stessa a spiegarlo nelle 30 pagine pubblicate nell’EU Official Journal:

Il rilascio delle bici importate per la libera circolazione nell’Unione dei prodotti cui si fa riferimento nel paragrafo 1 potrà essere assoggettato ad un deposito di sicurezza equivalente all’ammontare del dazio provvisorio.

 

 

L’applicazione degli stessi dazi anti-antidumping sarà differente a seconda delle aziende produttrici, in quanto la UE ha deciso per una targettizzazione della tassa: il Bodo Vehicle Group si vede applicare una tassazione al 77,6%, Giant Electric Vehicle al 27,5%, Jinhua Vision Industry e Yongkang Hulong Electric Vehicle al 21,8% e, ultima delle aziende nominate individualmente, Suzhou Rununion Motivity all’83,6%. Altri 105 esportatori cinesi di e-bike, la maggior parte, saranno colpiti da dazi al 37%, con alcune eccezioni all’83,6%.

I dazi anti-dumping saranno calcolati sul prezzo netto all’ingresso nell’Unione, prima di altre tassazioni.

 

 

Anche le e-bike cinesi nel mirino

Malgrado la China Chamber of Commerce for Imports and Exports of Machinery and Electronic Products (CCCME) obiettasse che gli Speed Pedelecs non fossero da equiparare alle e-bike normali, ossia quelle da 25 km/h, la UE ha tagliato la testa al toro decretando che:

Speed Electric Bikes, biciclette elettriche di categoria L1e-A e tricicli elettrici condividono le stesse caratteristiche e proprietà fisiche di base, oltre che gli stessi utilizzi di altri tipi di cicli elettrici: per questo motivo non possono essere esclusi dal novero dei prodotti oggetto dell’investigazione.
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L’incipit del documento pubblicato sul Gazzettino Ufficiale dell’Unione Europea

Una delle argomentazioni portate a supporto della Commissione Europea è il dato sul mancato guadagno in un contesto di crescita del mercato delle e-bike.

L’industria del ciclo europea non sarebbe infatti stata in grado di approfittare appieno del balzo avanti compiuto dal mercato del ciclo all’interno dell’Unione: un balzo di 74 punti percentuali tra il 2014 ed il periodo in cui si è svolta l’investigazione.

 

 

Nel medesimo periodo di tempo, la crescita delle vendite per l’industria del Vecchio Continente è stata solo del 21%, con una perdita di share del mercato stimato in un 23% che ha conseguentemente provocato, a partire dal 2016, una riduzione in termini di vendite, produzione e occupazione.

Secondo l’investigazione UE, il 18% di quella quota di mercato persa sarebbe direttamente riconducibile alle importazioni dai prezzi “falsati” di marca cinese, responsabili di un sottocosto rispetto agli standard dell’industria europea contemplato tra il 16% ed il 43%, almeno nel periodo oggetto di indagine.