Una forma cronica di trauma ai tessuti indotta dall’esercizio, che porta al persistere di reazioni infiammatorie locali, può guidare le cellule immunitarie (neutrofili, macrofagi e cellule natural killer) a uno stimolo migratorio prolungato e inappropriato. Come conseguenza di questo fenomeno, può avvenire uno squilibrio in queste cellule dell’organismo, con possibile ripercussione sui meccanismi difensivi del corpo.

Altro aspetto fondamentale è che questa infiammazione cronica, e conseguente risposta immunitaria, porta alla produzione di citochine, che sono importantissime molecole segnale per la cellula.

L’esercizio intenso come quello praticato nel triathlon, può portare a traumi tissutali a carico del muscolo e/o tessuto connettivo e/o dell’osso, e questo trauma può attivare le cellule locali a rilasciare citochine specifiche. Si ritiene che queste citochine stimolerebbero i linfociti T helper nativi (TH) a differenziarsi in linfociti TH2, che sono associati con l’immunità umorale, quella cioè attiva nella difesa da parassiti e nelle reazioni allergiche.

Quando i linfociti TH2 sono sovra espressi, c’è una concorrente soppressione dei linfociti TH1, che sono associati con le cellule dell’immunità cellulo-mediata (CMI). La soppressione delle CMI renderebbe gli atleti più suscettibili alle infezioni, e potrebbe spiegare l’incremento di incidenza di infezioni del tratto respiratorio superiore con l’esercizio estremo.

Inoltre l’aumento dei livelli di ormoni dello stress circolanti, quali le catecolamine (epinefrina e norepinefrina) e cortisolo, così come prostaglandina E2 (PGE2), associato con l’esercizio estremo, supporta la sovra regolazione della risposta dei linfociti TH2. Altro aspetto di rilevanza è che il periodo prolungato di allenamento intenso può abbassare i livelli di glutatione nel sangue, forse modificando i cataboliti (molecole prodotte dal metabolismo) del muscolo scheletrico nella circolazione e/o l’assorbimento e ossidazione dei linfociti, compromettendo la funzione immunitaria negli atleti.